crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

martedì 11 agosto 2020

Penelope tra le dita

 La tela. Bianca.

Come gli occhi del grande vate cieco.

La tela. Inquieta.

Come i colori del grande Olandese.

La tela. Ruffiana.

Come etera di orientali ginecei.

La tela infine. Matrigna.

Sudario di inespresse parole e segni,

attende sorniona le mie prossime mosse.

 

Vigliaccamente tentenno.

 

Adduco ingiustificabili piccoli delitti alle dita,

maldestre mani hanno ereditato l’ansia dell’età

l’eterna controra assassina non consente l’aire

rifuggo dalle commiserazioni di rito. Attendo?

 

Pennelli e colori, bozzetti immaginari sciorinati,

accarezzati nella mente deflorando l’insonne tela

svaniscono all’aurora annegati in un amaro caffè.

Poche righe ancora mi separano dalla resa. La tela?

 

La tela. Bianca.

Orba delle mie mani e delle mie intenzioni, scruta.

Cieca testimone dell’accidia che mi pervade.

La tela. Inquieta.

Non ha animo d’attendere la fine delle mie ubbie.

La tela. Ruffiana.

Nonostante la controra approfitta di pochi versi.

La tela infine. Matrigna.

Nulla fa per sciogliere il mio sudario, attende.

 

Io come Penelope non ascolto lusinghe. I colori?

Ti ho tra le dita, tela. Ti violerò.

 

Forse.

 

Controra permettendo.


Elogio -elegia- dell’oblio

Assiso alla fonte del mio sogno

osservo sgorgare con frenetico ardore

lemmi impossibili, versi, parole accidiose

cavalcare litigandosi spazi impossibili.

Vedo passare la mia Musa -immemore

vestale di sogni e amori impossibili-

pare sorridermi mentre s’inabissa.

Nell’oblio di queste onde di bambagia

m’immergo, finalmente ho dimensione

e nel foglio di candore virgineo nuoto.

 

Lasciatemi nuotare.

 

D’altronde non so quando iniziò.

Parve essere comodo, ma non decisivo

uccidere i resti di poesie inespresse,

cancellare orme sulla rena degli amanti,

vestire nuovi panni al cuore ansante.

L’anima nascose tra gli anfratti dei ricordi

le larve delle falene nate fuori stagione,

il tempo era scaduto, ma lei parve ignorarlo.

Tanta bambagia mi abbracciò -mi cullò-

sì che il sogno ancora non mi abbandona.

 

Perché infine condannare l’oblio?

 

Perché lottare contro Titani invisibili al cuore

contro il tempo che immemore ti sconvolge

contro l’accidia che piano di te s’impossessa

e muta in te la misura del racconto incompleto?

Quando la parola fine è un accidente sul foglio

una piccola, folle formica che traccia di nero

un percorso inarrestabile, uno sbrego di matita

una correzione al tema svolto e mai consegnato?

No, lasciatemi nuotare nel mio Lete -allora-

poche bracciate rimangono ormai alla riva.

 

Forse -allora- ricorderò i perché e capirò.

 

Forse.

Libro mastro

 Del dare e dell’avere ti parlerò sommessamente

ora che anche gli anni bussano prepotentemente

che far di conto per annotarli è filosofia astratta

ora posso serenamente dirti che mal mi si adatta.

 

Non mi arrendo.

 

Non mi vedo supplice dinanzi al mondo

né la vita che ognora m’ha risparmiato

ha avuto mercede sottobanco, oscenità.

Ho pagato respiro e girotondi col dolore.

 

Ma ho un debito.

 

Monna fortuna mi sorrise benevolmente,

ho visto il cielo nel vorticar di led colorati

ho contato le volte che ho amato e riamato

e vissuto il dì dopo come primo fosse stato.

 

Ora, penna e calamaio.

 

Dell’avere/avuto ho riempito risme intere,

dimenticato forse chi m’amato nonostante.

Delle pagine intonse del “dare” solo sgorbi,

macchie indelebili di pochi e avari ricordi.

 

Quindici lustri han passato il traguardo spigolando

un nuovo anno s’affaccia, mi domando se e quando

avrò misura del tempo che verrà e se so far di conto

ritrovar tra le righe vergato in rosso “sono pronto”!

 

Hai un libro mastro bugiardo e ruffiano, auguri…

Se il gioco -l’azzardo- vale la candela.

 [Ho molto esitato forse troppo,

tra l’estro irraggiungibile

e la voglia di scrivere affogata

nella odierna controra avversa.

Periodi -pensieri sovraeccitati-

lemmi furenti alla punta delle dita,

trovano conforto immergendosi

nella pece appiccicosa dei tasti.]

 

Azzardo, nonostante.

 

Parlerei ancora di te, non fosse altro

perché di te conosco ogni anfratto,

ogni spigolo illanguidito del tuo cuore

ogni ripulsa o desiderio recondito.

Persi tra le more di ipocrite poesie

e promesse di confidenti, sincere parole

amici, amori inespressi -piccoli dolori-

tutto in un rutilare osceno di guitti

sul proscenio di un circo mediocre

che obnubila il senno senza biglietto.

 

Pagherò pegno. Lo so.

 

Ma tu, mia poesia spesso inafferrabile

musa recalcitrante che avversi i miei sogni

piccola illusione di una senescenza in fieri

sei l’unica ancora che mi lega -oh memories-

l’unica speranza di attraccare l’ultimo porto

senza i veleni di un mondo idiota -salvami -

Riprenderanno allora a fluire colori e tele

la bocca s’atteggerà a sorrisi ritrovati,

sognare non sarà più il pegno del sonno

e dormire non sarà più una “piccola morte”

 

Sei cara amica mia, ma il gioco forse vale.

 

La candela.

venerdì 19 giugno 2020

Onirica Sottomarina

Acrilici e colori metallizzati
su cartone da legatoria
cm. 35 x 50

Uccidimi


E se poi dovessi morire tu non esitare, uccidimi.
Sì, uccidimi dentro di te per non soffrire troppo
ogni volta che questo ricordo vigliacco ti assalirà
aspettandoti nascosto tra gli anfratti del cuore.

Uccidimi perché troppo è il dolore che proverei
mancando sapendo che il mio vuoto è ora il tuo.

Vedi anima stranita -mentre leggi queste parole-
come il solo pensare rompe gli argini del rimmel
che va sciogliendosi rigando di nero le tue gote
quasi triste Pierrot in scena sul palco della vita?

Uccidimi perché non avrai altri momenti di vita,
la mia presenza dentro di te affogherà ogni fiato.

Se poi tu non avessi animo di spegnere la cenere
ricordati che brucerà in silenzio ogni tuo attimo,
riempirà di me il tempo che ormai ti appartiene
e ti offrirà in cambio solo la tenerezza del dolore.

M tu non esitare. Uccidimi.

Pochi spiccioli di tempo


Pochi spiccioli di tempo in saccoccia.

Pochi -pochissimi- da barattare con Crono
per respirare nuovamente un azzurro
che sia vivido nei miei occhi, sì da lenire
l’ansia che incompresa spesso mi attanaglia.

Pochi spiccioli di tempo, senza resto.

Avessi un porta/tempo capace, ampio
allora sì che comprerei altra vita all’incanto
altro amore da spendere con te accanto
altri respiri per salutare gabbiani nomadi.

Pochi spiccioli di versi per una poesia restia.

Non chiederei altro se non un sorriso
il sorriso della cassiera al market della vita
dove spendere questi attimi che si rincorrono
e che non hanno più un timoniere acconcio.

Pochi spiccioli.