La tela. Bianca.
Come gli occhi del
grande vate cieco.
La tela. Inquieta.
Come i colori del
grande Olandese.
La tela. Ruffiana.
Come etera di
orientali ginecei.
La tela infine.
Matrigna.
Sudario di
inespresse parole e segni,
attende sorniona le
mie prossime mosse.
Vigliaccamente tentenno.
Adduco ingiustificabili piccoli delitti alle dita,
maldestre mani hanno ereditato l’ansia dell’età
l’eterna controra assassina non consente l’aire
rifuggo dalle commiserazioni di rito. Attendo?
Pennelli e colori, bozzetti immaginari sciorinati,
accarezzati nella mente deflorando l’insonne tela
svaniscono all’aurora annegati in un amaro caffè.
Poche righe ancora mi separano dalla resa. La tela?
La tela. Bianca.
Orba delle mie mani
e delle mie intenzioni, scruta.
Cieca testimone
dell’accidia che mi pervade.
La tela. Inquieta.
Non ha animo
d’attendere la fine delle mie ubbie.
La tela. Ruffiana.
Nonostante la
controra approfitta di pochi versi.
La tela infine.
Matrigna.
Nulla fa per
sciogliere il mio sudario, attende.
Io come Penelope non ascolto lusinghe. I colori?
Ti ho tra le dita, tela. Ti violerò.
Forse.
Controra permettendo.