crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

lunedì 29 febbraio 2016

L'inutile ulular alla luna

E sei affacciato al precipizio degli anni
non ti sei mai accorto dei tuoi affanni?
Nulla ha mutato il colore dei tuoi sogni
-egoista della notte- pretendi i bisogni.

T’ho cercata stanotte etera lama di luce
mentre il pensiero pigro viaggia, m’alzo
piove e il vento strapazza i vecchi scuri.
Il cielo è minaccioso -seppure volubile-
scherza con le ansie, le attese dei vecchi
poco sonno e tanto straziar di memorie.

Ciabatte ai piedi m’avvio stanco ai vetri
arranco ma sorrido dei miei umori tetri
ho penna e carta, ma rifuggo la tastiera
“scrivi sbilenco, bestemmi l’età stasera”?

T’ho sentito m’affaccio e -vento arrogante-
“non so far di conto gli anni m’han fottuto”

Inutile ululato, sorridi e mostri il fianco.

Luna?

*foto da web elaborata

mercoledì 24 febbraio 2016

L’uomo che divise il cielo a metà

(non fu per egoistico divertimento
ma l’amore è necessità inevitabile)

Il sonno lo colse così rannicchiato
contro la schiena della sua donna
-quasi feto incanutito dall'attesa-

Il sogno l’irretì poi con l’inganno
barattando la sega dai denti d’oro
-in cambio delle sue notti insonni-

L’aurora lo cercò invano nel letto
il mare non recitò omertosi versi
-ma la rena fu inconfutabile teste-

Il mattino incontrò solo il sorriso
insultava gli occhi l’oro dei denti
-ma il cielo diviso non si lagnava-

L’uomo donò la sega al suk celeste
colorò cieli gemelli di altre poesie
poi s’avviò verso un nuovo giorno

Così raccontò lo specchio. A metà.

*immagine da web

lunedì 22 febbraio 2016

E ancora sei qui

Ancora sostieni il mio passo quando
-allacciati come marionette zoppe-
incespichiamo foglie ruggine d’autunno.

Ancora leggo nei tuoi occhi quando
-sui seni il fruscio delle mie mani-
è tenerezza di un desiderio mai sopito.

E ancora sei qui.

Ancora scriverò per te stasera quando
-sarà nido il tuo volo nel mio cuore-
i versi saranno fiordalisi tra grano e sole.

Ancora il sorriso sarà la nostra canzone
-una carezza al domani d’eterne note-
quando il gelo dell’inverno ferma i battiti.

E l'occaso pare aurora.






domenica 21 febbraio 2016

La gatta canta nella calle e la vita balla

Quando la vita smetterà di danzare sulle punte
piroettando, menando l’anca -vecchia bagascia-
troverà pace braccandone le orme la mia divisa
con le mostrine bene in vista da eroe cresimato.

Oggi non ho la forza di levare lo sguardo al cielo
ipnotizza il grigio claustrofobico dell’antica casa
che uccide ogni mio anelito di spazio e d’azzurro
tono su tono con gli scuri serrati veste l’angoscia.

[l’amore della gatta cieca affligge la calle -il canto-
non conosce note diseguali, il giorno dalla notte]

Non ho risposte né le desidero, t’aspetto al molo
e poche bracciate di fantasia arcobaleno bastano
a colorare questa giornata carcerata da versi bigi
vedi, anche il gabbiano sui coppi lassù annuisce.

Porta con te lo spartito dei giorni migliori al sole
quando stonavamo le note tra le risa sulle labbra
celiando la vita che danzava sulle anche libertine
e il grigio era desiderio da travet chiuso in banca.

[ora la vita danza sulle note strazianti della gatta
ferma l’anca -etera canuta- la musica è cambiata]

Esco il grigio scolora, la gatta ha trovato l’amore.


martedì 16 febbraio 2016

Dell'amore e della vita

“Ho capito che nella vita ci sono tante vite,
per quante volte in vita abbiamo amato.”
(Evegenij Aleksandrovič Evtušenko)

Non ho ancora scelto la nuvola dove stare
quando il mare renderà le ceneri affogate.
Sarà su una rena sconosciuta ai tuoi passi
e il sole e il vento ne ruberanno il ricordo.

Potrebbero essere l’incipit di questa poesia
o la stanchezza dell’attesa –celata nei versi-
queste dannate parole buttate lì sul foglio.
Tu non mi capirai, ma non ho mai amato così.

La vita. La amo da morire.

*immagine da web

domenica 14 febbraio 2016

Affresco di una notte di San Valentino

 Ho lasciato le chiavi appese al corno di questa luna mezzana
sono quelle del mio cuore, usale con gentilezza sai che soffre.
Qualche scatto e poi l’anima spalancata ti abbraccerà stretta
una rosa di notte non scolorisce, ma non spezzarne le attese.

Vedi sul canale i pescatori hanno steso le nasse ad asciugare
di notte la magia di San Valentino colora anche le tradizioni.
Aspettami sulla riva anche quando la luna t’inviterà ruffiana
lei sa che ho giocato a dadi le mie notti in cambio della vita.

L’ attesa avrà i colori di un affresco e il profumo di una rosa
hai le chiavi, la luna mezzana ammicca -io ti aspetterò lassù-

Sai ho ancorato la tavolozza alla riva -ti sorrido tra le nasse-

Vieni.


sabato 13 febbraio 2016

...scarabocchiando...


Frugando tra le 12 stanze...


Perdersi altrove sotto un cielo diverso

frutto immaturo sconosciuto al tatto
raccolto d’istinto -pendeva distratto-
delizia di fragola agro di melograno
sogno primino di un mondo lontano

Perdersi.

Un gioco di falci arcuate lassù nel cielo
ancora distrae e rapisce i miei sospiri
essere altrove, uno spettacolo diverso
forse varrebbe il soldo preteso stasera.

Vedi parrebbe una tenera inquietudine
occhi al cielo e -spalancata meraviglia-
la voglia d’inseguire nuvole e gabbiani.
Monologo d’istrione -vorrei perdermi-

Altrove.

come improbabile ma generosa étoile
danzo in equilibrio sulla mia fragilità
il mondo ha tarpato le mie ali di voile
sorrido non m’arrendo a tale iniquità 

Sotto un cielo diverso.

*foto da web di 
Ulisses Parente

sabato 6 febbraio 2016

La rosa che si credeva girasole

La rosa che si credeva girasole durò una sola estate
e quando il sole tramontò rimasero solo le stoppie
in quel campo di grano oramai senza più fiordalisi.

In quella estate sognante e torrida, avida di respiri
l’urlo di una rosa -ingannata dal suo stesso colore-
non ebbe eco, ero perso nel rimirare il mio dolore.

È il vento caldo che viene dal mare, o la coscienza
di un distacco dolce -di memoria incisa sulla pelle-
che fatica a scolorire, che rimane nonostante tutto?

Rosa, rosae, rosarum, rosis…

Declino in latino -fugaci scorie di alunno svagato-
mentre scrivo queste righe e sfoglio ad uno ad uno
i sogni, petali di quell'estate in rosso sul calendario.

Il sole tramonta, sulla rena le rose non fioriscono
i passi  della lontananza sono un soffio di libeccio.
Strano, neanche un girasole crebbe in quel sogno.

Era una rosa, ma il troppo sole dell’attesa l’appassì.
Helianthum si chiamava -così mi dissero i maestri-
Per me era una rosa, una incantevole testarda rosa. 

Rosa, rosae, rosarum, rosis…

Sorrido.

*(immagine da web)

giovedì 4 febbraio 2016

La merla racconta...

Sei del mattino.
Il letto mi ricorda quel roveto grigiastro
osceno spacciatore di more emofiliache
che ricopriva buona parte delle sponde
del Seveso malato vicino casa, a Milano.

-spine dolorose, oh! mani avide e incaute-

Esco.
La merla mi presenta una Chioggia livida,
ha il sorriso decrepito e l’occhio acquoso
di un Achab canuto, sconfitto, mai domo.
Mi stringo nel piumino, brividi mattutini.

-pensieri appesi al cielo, gelide stalattiti-

Il cielo irride.
Nelle orecchie l’eco del tuono magnetico
e nelle natiche il rantolare della corriera.
Ora la merla zittisce, i pensieri sciolgono
e i versi paiono testarde primule precoci.

-sole sfacciato, utopia di primavera attesa-

Volubile azzurro.
La merla sorride e affila il becco -s’intona-
veloce arroto i tasti prima che geli il cuore.
Scrivo, mentre il bianco della sala d’attesa
fa il paio coi camici solerti delle infermiere.

-sorrido, ho l’azzurro in tasca-

La merla stona il fischio, muore nel bianco.