crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

venerdì 30 settembre 2011

Qualcuno la chiama vecchiaia

E’ un sapore
che direi tenerezza
quel groppo di lacrime
che avvinghia la gola
e lì rimane,
orfano degli occhi.

Attende un moto d’anima
per sciogliersi in pianto.

Piccola stella rubata
alla briga dei gabbiani
come allora respiri ferita
sul palmo del briciolo d’uomo
che incredulo interrogava
l’azzurro e stupiva
del tuo volo.

Perso tra le gore
della grande utopia della vita
oggi ti ho ritrovata.
Come ieri, in attesa di risposta,
interrogo l’azzurro velato
mentre la collana di lacrime
scioglie finalmente in gola.

Sarà il pianto di un cuore bambino
sculacciato dagli insulti del tempo?

Qualcuno la chiama vecchiaia.

mercoledì 28 settembre 2011

In punta di piedi

Questo è l’ultimo aquilone,
poi non ne faremo più.

Nell’attesa della tramontana
intrecciamo bacchette,
leghiamo catenelle iridate.

Non temere se il tempo
vigliacco t’impiomba i piedi
e vuole legarti ai ricordi.

Togliti le scarpe,
voleremo tra i sorrisi.

In punta di piedi.

lunedì 26 settembre 2011

Senza scampo

[ti ho sulla pelle, anima scorticata]

Abito confezionato su misura
cucito a parole con il filo del tempo,
teca di panno amaranto e ossidiana
dove lasciare appese le mie illusioni
ricettacolo spesso di inattesi sorrisi
o taglienti parole di numi avversi.

Sgrano il mio rosario, piego i tasti,
rotolano svogliati pensieri nella calle
l’eco rimanda lamenti come miagolii.
E’ quasi dolore. Sottili, velenose spine
straziano infisse sulla pelle, legano
un anima ulcerata ad essiccare al sole.

[ma ti ho sulla pelle, non c’è scampo]


E...

…e ancora inseguiamo la vita ladra di tempo
…e la racconto mentre ti abbandoni al sonno
…e l’amore rubato ovunque cadesse lo sguardo
…e il colore delle more a stingere sulle labbra
…e la conta delle nuvole mentre il cuore placava
…e l’azzurro del cielo indossato tra le felci
…e il ritmo delle onde a cullare i fianchi
…e il pudore della sabbia a celare nudità
…e la luna compagna che dirige i nostri passi
…e gli occhi che barano il passar delle stagioni
…e le parole nascoste liberate con la neve
…e la comune voglia di amare ancora
…e…dormi?

martedì 20 settembre 2011

Post mortem, ridete pure...

quando meriterò
il vostro ultimo sguardo
e mi vedrete così,
ciascuno con gli occhi
della propria convinzione,
non toccatevi scaramantici
quasi voleste trattenere
lacrime trasgressive
sgorgare da siti indecenti

non andate via  
per non disturbare
non sarò che polvere
libera da ceralacche inutili
e veleggerò i mari  
padrone delle mie rotte
e non sarò nascosto
sotto il tappeto dell’oblio
da badanti svogliate

non andate via
avrete da consolare
chi ha avuto il coraggio
di restare al suo posto
nonostante lo spettacolo
fosse scadente, il biglietto
pagato con anni di noia
e l’attore un pessimo guitto,
un incorreggibile istrione

non piangete,
come Ariel, spiritello
dispettoso, verrò la notte
a solleticarvi i piedi
non avrete alcuna paura
e sarà un’ esibizione
assolutamente gratuita, 
un exploit indimenticabile
e voi riderete, riderete..

[perché la morte
è l’ultima risata della vita,
la badante distratta
che a volte ti sorride
ma ti prende per il culo]

domenica 18 settembre 2011

Quasi fosse Settembre

Sfogliare chicchi d’uva come fossero rose
succose gocce rubino a ingolosire il palato
così il sapore degli anni passati insieme.

[quasi fosse amore, sempre]

Amore zuccherino divorato a piccoli morsi
acino dopo acino catturandone il calore
ingannando la vita nel divenir delle stagioni.

Quasi fosse Settembre. Sempre.

giovedì 15 settembre 2011

La pazienza degli angeli

L’erta sfiorisce.

Un ultimo respiro spezzato
e nel chiarore improvviso
l’ovattata ombra silvana
scolora il muschio antico.

Si apre a due passi dal cielo
la fatica ridente del passo
ti accoglie immeritato sorriso
l’abbraccio materno del sole.

Il ruzzolo fanciullo tra le erbe.

Due ranuncoli si celano timidi
mentre la vanità si esibisce
nell‘illecita ricerca di stelle.

-un legno secolare infisso
a braccia aperte sorride-

Attende.

E il tuo procedere ardito
sul limite del dirupo scosceso
è sorriso di verde incoscienza.

E pazienza degli angeli.

martedì 13 settembre 2011

Due pietre

Ho le dita intorpidite,
le nocche impallidiscono.
Stringo mucchietti di parole
che anelano cieli diversi.

[disteso, sospeso tra due blu,
come in un limbo immeritato,
godo di privilegiata situazione]

Lassù. Un segno, un’ipotesi.
Una parentesi aperta,
attende parole in libertà
per chiudere la storia di una vita.

Ho le dita intorpidite.
Un diaframma di falso cristallo
protegge e riflette le mie emozioni
mi tiene sospeso tra sogno e realtà.

Qualcuno lo chiama poesia.

Un sibilo, uno schianto
e lo specchio va in frantumi.
Due parole, due pietre,
lasciano aperta la parentesi.

[una poetessa mi sorrise un giorno
“in fondo siamo mica poeti, noi”]

E’ vero.

In fondo sono solo
tempo incanutito.
Un pugno di parole ribelli
che scappano dalle dita
e l’anima persa
da qualche parte nei calzoni.

domenica 11 settembre 2011

Era di San Martino. O giù di lì...

Era di San Martino. Ancora?

Scatoloni guardavano attorno affranti,
le voci dei figli rincorrevano inesauste
il rimbalzar dell’eco tra le stanze vuote
e nel tuo sorriso complice nascondevi
rughe di dolce stanchezza tra le ciglia.

Dio quanti traslochi. L’ennesimo.

Anime errabonde col sorriso degli anni
e l’incoscienza giovanile nelle mutande.
Si finiva a far l’amore tra le ante tarlate
di un antico, altezzoso armadio a muro
viepiù sconcertato da tanta impudenza.

Era di San Martino. Era ieri?

La neve incipiente tra i capelli mitigava
il calore dei brindisi di rosso vino novello
gli scatoloni lamentavano vecchie ferite
e muri infastiditi rimandavano il silenzio
di una ciurma ormai assuefatta e afona.

Il desiderio sorrideva ancora negli occhi
mentre l’incoscienza esigeva impudente
uno spazio acconcio dove festeggiare…

Era di San Martino? Non ricordo più.

Ma non è importante, non lo è mai stato.

sabato 10 settembre 2011

Compravendita di false identità

Ho barattato un paio d’ali stanche
di gabbiano corroso di salso mare
e ho circuito una lince errabonda
che avea smarrito il senno e la rotta.

Ho venduto tre versi incomprensibili
a quattro soloni dalle penne dorate
ora, aquila reale di nuove piume alato
da quassù rimiro con occhi di lince.

[macerie di ieri passato per sempre]

La mia immagine, figurina sbiadita
dai bordi piegati e corrosi da cicatrici,
ricordi di partite giocate a muretto
scommesse, perse, rigiocate testarde.

Su tavoli illeciti nei vicoli della vita
alzando ogni volta la posta in gioco
ho raccolto loglio seminando grano
farina degli anni finita in crusca.

[un altro batter d’ali]

Pensieri come artigli ora stringono
tra i rostri una nuova intonsa figurina.
Un passero che credendosi gabbiano
dipinse se stesso come aquila reale.

Presto un tavolo, tre carte, due dadi
un muretto su cui giocar la mia abilità.
E’ l’ultima mano, truccando le carte
chissà, forse stavolta raccolgo grano.

[ho finito le figurine]

Nessuno è il tuo nome

[c’è chi aprendo gli occhi al mondo
esibisce la sua arroganza e lo reietta]

Nascondi la tua paura tra bit e transistor
manipolando le vesti con icone artefatte
vendi la tua vita a una scatola bugiarda.

L’identità che ti aggrada ormai è costruita
il sorriso riverente di chi ti vuole adulare
vieta il tuo ritorno ad una realtà più cruda.

Vivi dentro un monitor cibandoti di parole
con la falsa identità ti ripari dal calvario
dell’affrontar la vita con le sue asperità.

Non sai delle bianche corsie, del dolore
del veleno che dai cavi cola nel sangue
dell’attesa che uccide la luce negli occhi.

Delle speranze appese a fili e boccette
di giochi sparsi, macchie colorate sui letti
del sorriso di piccoli pierrot disarticolati.

Non sai, non puoi sapere, sei altrove.

Ora l’icona appare, scompare improvvisa
come il serpente dall’immensa sapienza
lascia l’oracolo al discernimento umano.

[sei un avatar, apologia della modernità
un click e scompari, non sei più nessuno]

Click.

Così preciso, così perfetto...

L’aria respirava il sapore dei ceri.

Distesa nel biancore alienante della stanza, la sagoma sul letto
pareva un nero insulto all’ordine prestabilito delle cose.
Comunque era li, parallela alla linearità delle piastrelle anni ’50
che quadrettavano ordinate e sussiegose l’improbabile pavimento.

Chili di gel piegavano come tondini di ferro i radi capelli
coartandoli in un percorso a loro indigesto e congenitamente alieno.
Un solco discriminatorio come spartiacque ne divideva le incombenze,
viaggiavano quindi paralleli anch’essi all’iter pretenzioso delle piastrelle.

Un gessato di un grigio spento che un dì fece furore a Londra
rivestiva l’immota sembianza e l’ordinato percorrere del bianco gesso,
come binari che percorrono il rettilineo di una vita spesa senza sussulti,
disegnavano nell’insieme una scena di rara e ordinata perfezione mortuaria.

Il silenzio, ritmicamente rotto da un sommesso sgorgare di finte lacrime,
venne lacerato da un grido straziante: <<Lì…lì…>> la mano tremante
indicava con tremebonda iterazione il piede del caro estinto, la scarpa destra,
inopinatamente slacciata, in completo disordine, i lacci sparsi in allegra anarchia.

Un ultimo grido e la donna svenne. Fu il caos.

…ancora mi rido dentro…

Perché, ancora...

[perché, ancora
i tuoi fianchi raccontano]

Dolci declivi allo sguardo
le sinuose penombre
e mormorio di ruscello
è il glicine bianco aperto
su un bocciolo di rosa.

La parola fine è una bugia
a fior di labbra sul tuo seno
e il sorriso delle mani
è la dolcezza del pudore,
la serena consuetudine.

…perché, ancora…

Prosit

[e ancora attendo l’inverno
che scaltro travaglia ad arrivare
tra le nubi gioca a mosca cieca,
e mistifica i suoi passi pesanti]

Improvvise folate di maestrale spegneranno gli ultimi falò,
sulla spiaggia tremule ombre sfiniranno la danza esauste
e un paio di sandali distratti, in cerca di orme ormai perse,
scriveranno sulla rena la fine e l’inizio di un’altra stagione.

Nemmeno la ruggine d’ottobre calmerà le ansie represse,
ma tingendole come caduche foglie dell’albero del tempo,
planeranno bugiarde a infrascarsi tra le pieghe dell’anima.
Solo un sorriso di circostanza e brinderò alla nuova soma.   

Sarà un sorso di neve, come sempre. Prosit.

domenica 4 settembre 2011

Infinitamente piccolo, infinitamente grande


Tre marciavano spedite,
la quarta arrancava disfatta,
tre inorgoglivano il petto
la quarta piegava la schiena.
Sei antenne giocavano liete
a nascondino col sole morente,
due si confondevano meste
tra le ombre incipienti della notte.

[quattro formiche erranti
in fila indiana sulla mia mano
hanno svegliato il torpore
di un respiro addormentato]

Infinitamente piccolo
questo strano gioco militaresco,
il mio sorriso scandiva il ritmo
e la marcia proseguiva altera.
Tre formiche dal passo marziale
rubavano ammiccanti la scena
mentre la quarta annaspava mesta
sotto il peso della loro cena.

Infinitamente grande
la briciola rubata alla mia tasca,
bastano quattro istrioni in fila
tre passi cadenzati, e il mondo casca.

sabato 3 settembre 2011

Ciao, pà


Non so perché, ma stasera l’ultimo respiro del sole morente
ha sollevato la polvere dei ricordi e fermato la tua immagine.
Laggiù dove l’orizzonte muore e il sogno si chiama speranza
hai sorriso e sciolto la nostalgia che incatena parole al cuore.

Prima che svanisca fagocitata dall’eterna lite tra mare e cielo
vorrei parlare un po’ con te così, e chiederti occhi negli occhi
di darmi le risposte a tutte le domande che non ti ho mai fatto,
perché partisti presto e non ci fu il tempo, questo fu l’inganno.

Vorrei di nuovo accanto il tuo sorriso per sciogliere la tristezza
che affoga i sentimenti e soffoca i battiti di un cuore stralunato,
dirti sono sicuro, c’è primavera là dove mi attendi, ma la neve?
Forse ha senso tutta questa neve, spiegamelo tu, c’è tempo…

Ciao pà.