crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

martedì 30 aprile 2013

Petali


Una rosa di mare persa sul molo
forse reietta da un cuore di pietra
sta morendo d’inedia e solitudine
mentre scolora al sole incattivito.

-subitaneo il corteo di formiche-

Seduto sulla panchina (distratto)
sfoglio la margherita dei pensieri
nel gioco delle speranze mi perdo
dimentico dell’altalenar della vita.

Fiore straniero venuto d’incanto
t’ho reciso nel sogno di controra
t’ho impaniato nelle mie illusioni
poi lasciato morire per superbia.

-tumula petali di vita a bocconi-



sabato 27 aprile 2013

Senza eco


Oggi il mare è una lastra di mica
scaglie d’argento fuse sul molo
-non ho un ciottolo da tirare-

Poi, contare i rimbalzi avversi
alle ragnatele di nuvole appese
come scialli di trine sul cielo.

(poi)
risate senza eco nella calle
racconti di pleniluni e reti sazie
gonfie di riflessi dorati

(poi)
il mare reclama l’azzurro
nel cielo le trine si sciolgono
quasi trecce d’amante appagata

Rido di me nell'attesa dell’eco
il cuore è un ciottolo che rimbalza
-affonda repentino all'impatto-

Senza eco.

mercoledì 24 aprile 2013

Il mio posto


[oggi il cielo è sgombro
l’azzurro pare definirsi
eppure l’inquietudine
ha le dita tinte di nero]

Sono stanco di giocare
a nascondino con la vita
stanco di farmi inseguire
dagli anni -cani arrabbiati-

*****
i cormorani sono tornati
la laguna ha ritrovato
i suoi inquilini irrequieti

si tuffano, riemergono, là
dove meno te l’aspetti
a loro agio, è il loro posto

*****
È ora di cambiare gioco,
non traslocare più il cuore
ma sono ancora in apnea
e non so dove riemergere.

lunedì 22 aprile 2013

Una partita improponibile


[ho cercato invano un’indovina
una medium che legga la mano
ho incrociato solo mani protese
bestemmiavano il loro domani]

Datemi un portone, una banchina
due dadi d’osso di bianca calcina
un mazzo di vecchie carte truccate
e una vita che non sia una roulette.

Datemi il tempo che ancora resta
lo sputtanerò alla prossima mano
su quel tavolo dove girano le carte
i croupier d’un gioco immaginario.

Datemi infine un polmone d’acciaio
uno scafandro, una tuta d’amianto
tre cerini per dar fuoco ai fantasmi
di questa notte che insegue l’aurora.

-nudo senza assi nella manica-

[ho ancora due battiti nel cuore
userò l’anima come pace-maker
dicono che sia mal di primavera
e il caffè nella tazzina si fredda]

lunedì 15 aprile 2013

Chi ha ucciso Calimero?


Chi ha ucciso Calimero?

L’aria nella stanza si era fatta pesante. L’imbarazzo e la consapevolezza di averla combinata grossa avevano creato una coltre così spessa che potevi tagliarla a fette. L’Art Director e il Copywriter si erano dati alla latitanza occultandosi nello sgabuzzino che ospitava la macchina distributrice di atroci merendine e pessimo caffè. Gli assistenti girellavano tra i tavoli fingendo impegni improvvisi ed improcrastinabili, uno si era addirittura affettato un’unghia con il bisturi mentre stava tagliando carte colorate. Era trasalito alla domanda che il Direttore Creativo aveva posto: Chi ha ucciso Calimero? Ma facciamo un passo indietro, anzi due. Si era agli inizi degli anni sessanta e la pubblicità, come forma di comunicazione, votata soprattutto allo sviluppo della vendita di prodotti, stava mano a mano prendendo piede e, attraverso la televisione, scatola infernale che prometteva mirabolanti panacee universali, stava conquistando un posto importantissimo nella vita di tutti i giorni. Logico pensare che a seguito di tutto ciò sarebbero nate nuove professioni e nuove figure professionali: I pubblicitari. Altrettanta logica e naturale era stata la nascita di Agenzie Pubblicitarie, perlopiù emanazioni di agenzie internazionali, americane soprattutto, che avevano conquistato il cuore della city per elezione: Milano. Erano spuntate come funghi e i duelli all’arma bianca per conquistarsi i clienti con i relativi opulenti budgets erano all’ordine del giorno. Milano nel frattempo stava cambiando pelle, i vecchi quartieri cari a tanta letteratura oleografica dei primi del novecento, piano piano stavano scomparendo per lasciare posto a nuovi insediamenti, perlopiù banche ed agenzie di pubblicità. La televisione nel frattempo aveva conquistato uno spazio sempre più importante nella vita quotidiana e la nascita di un “programmino” tutto dedicato alla pubblicità aveva conquistato dignità e “audience” attraverso la proposizione di filmati che, seppur brevi, raccontavano la pubblicità in forme di spettacolo a volte molto gradevole. Era nato “Carosello”! Tutto cominciò da lì...

James si alzò di malavoglia, aveva ancora sonno nonostante avesse dormito otto ore filate dopo la colossale sbronza di pessimo whisky mischiato ad un altrettanto fetido rhum tracannati al Jamaica, storico locale per artisti che trovavi aperto ad accoglierti sino a tardi in via Brera, a due passi dal centro di Milano. Aveva la testa pesante, un alito a dir poco omicida e, nell’attesa di un qualsiasi segno di vita da parte della caffettiera che soffriva sul fuoco, si accese la prima di un’interminabile sequela di sigarette che avrebbe accompagnato la sua giornata avvolgendola costantemente di una nuvoletta di fumo. Marlboro, of course. Stiracchiandosi si avvicinò alla finestra che dava sulla darsena. I barconi carichi di improbabili e misteriose merci erano lì, pronti a risalire il Naviglio per arrivare sino al Ticino, a Pavia. Aprì la finestra e mentre osservava distrattamente questo storico angolo della vecchia Milano, il suo pensiero veleggiò verso la città natia: San Francisco.
Sì perché James era americano, uno dei tanti creativi pubblicitari che il provincialismo dei clienti italiani e la spocchia delle agenzie americane avevano reclutato negli States, patria della pubblicità, o meglio dell’“advertising” come dicevano loro. Alto, sui trent’anni mascella volitiva e quadrata, tratto somatico che denotava indubbie origini americane, era però di un colorito perennemente tra il grigio e l’olivastro decisamente malsano retaggio di una vita notturna piena, non solo di alcool. Marlboro perennemente accesa all’angolo della bocca, capello vagamente lungo a ricordo di trascorsi beat, sorrideva poco, solo il necessario.
Jeans rigorosamente Levi’s Original e camicia che aveva visto giorni migliori nelle lavanderie automatiche del suo quartiere natio a San Francisco, completavano il look volutamente fané, da intellettuale maledetto, alla Bukowski. La caffettiera nel frattempo aveva perso la voce nei continui e inutili richiami e il caffè era diventato decisamente imbevibile. James decise allora che avrebbe fatto colazione al bar dell’angolo, in Piazza Affari, proprio sotto la sede dell’Agenzia Pubblicitaria per cui lavorava e da cui era stato assunto con la mansione di Direttore Creativo, profumatamente pagato e con una serie interminabile di bonus che arricchivano il suo contratto. Ivi compreso l’alloggio, uno splendido, piccolo loft a Porta Ticinese, prospiciente la darsena.
Prese al volo il tram, (impossibile parcheggiare qualsiasi mezzo di locomozione che non sia una bicicletta in Piazza Affari a Milano), e in un amen scese a Piazza Cordusio…”near my job” come soleva dire quando descriveva la sua vita da “emigrante di lusso” ai suoi compatrioti. Entrò immediatamente nel Bar “Affari tuoi” prospiciente l’ingresso dell’Agenzia e ordinò con fare annoiato: <<Un cappuccio, please.>>
Mario il barman aveva imparato a conoscerlo ormai e affettava con lui una confidenza altrimenti negata ad altri clienti <<Giornataccia, eh, James?>> disse scrutando il viso dell’interlocutore che navigava tra l’annoiato e l’addormentato, per poi virare decisamente sull’incazzato. <<Oh, yes! - rispose James -mi aspettano in agenzia per una serie di maledettissimi e strarompicoglioni di brainstorming non li sopporto proprio, è una tale rottura>> così dicendo portò la tazzina alle labbra e blaterò una frase irripetibile che a Mario sembrò significare un’impronunciabile bestemmia. <<My God! Ma è bollente! Quante volte ti ho detto che lo voglio tiepido il cappuccino>> ciò detto addentò la brioche riscaldata che Mario gli aveva propinato (tanto è americano) e, senza profferire altro, prese l’uscio e si precipitò in strada. <<Segno. eh, James….>> Mario aprì il libricino e allungò la lista del conto che James aveva in sospeso e che regolarizzava ogni fine mese. James nel frattempo con quattro falcate rapide era arrivato a destinazione.
Una rampa di scalini di marmo portavano ad un ingresso ampio con volte molto alte, caratteristiche dei palazzi fine secolo che davano sulla piazza. Una targa in ottone che brillava per i raggi del sole, recitava in modo discreto e volutamente minimale: “Smith & Wesson – Advertising & Sales Promotion”. Il piano non era indicato, poiché l’Agenzia occupava tutti e cinque i piani del palazzo. L’ingresso, arredato in stile ultramoderno cozzava alquanto con l’immagine che il palazzo dava di se a chi vi si approcciava dall’esterno. Divani di pelle rossa sparsi con noncuranza ed apparente disordine, ammennicoli vari sicuramente di alto design, ma che dell’inutilità intrinseca facevano bella mostra, quadri futuristi alle pareti, talmente futuristi che impegnavano le persone in attesa ponendo loro il cruciale dilemma: “Sono io che non capisco un cazzo o sono davanti ad un opera storica?” Normalmente propendevano per la prima soluzione, intimoriti dall’ambiente socio-cultural-avanzato, ma i più disincantati concludevano sedendosi con un ghigno “E’ una merda, una vera crosta!” Maggie, la “centralinista-reception-tuttofare-portaicaffèinsalariunioni” lo accolse con un sorriso speranzoso <<Hi, James, how’re you?>> <<Bene…>> bofonchiò il nostro e si diresse velocemente verso l’ascensore. Non voleva dare assolutamente corda a Maggie, per non creare attriti e invidie presso le donne dell’Agenzia. Sì perché James era considerato un ottimo partito, buono per ogni uso, matrimonio, convivenza, una botta e via, qui sulle scale, sopra la macchina delle fotocopie…insomma: ovunque e comunque! Poi. con quel che guadagnava, vuoi mettere..
Ma quella non era una mattinata felice per James, avrebbe dovuto capirlo dai molteplici segnali ed avvertimenti che il mattino gli aveva lanciato…il cappuccio bollente, le sigarette che avevano un deciso aroma che ricordava lo stallatico delle farms texane, insomma tutti i prodromi di una vera e propria, gigantesca giornata di merda! Deglutì quando le porte dell’ascensore si aprirono e si trovò di fronte Mr. Wesson, ceo dell’Agenzia e Dio in terra per tutti i dipendenti. Mr. Wesson era un ometto insignificante che dimostrava molto di più dei suoi 55 anni. Di corporatura decisamente robusta, normalmente indossava abiti di una taglia superiore, per via di una pancia prominente che ne minava la stabilità. Regolarmente abiti color grigio indefinito, da travet parastatale che a malapena coprivano camicie impresentabili, stazzonate come normalmente succede ai single americani, dato che il ferro da stiro è un elettrodomestico pressoché sconosciuto da quelle parti.  Cravatte..e qui si potrebbe aprire un capitolo a parte per quanto attiene la “range” di questo accessorio. Colori e decorazioni incredibili lasciavano spesso il posto a cravatte grigio topo o fumo di Londra, regolarmente annodate con un nodo piccolissimo al colletto non certo inamidato della camicia, penzolavano con tutta la loro lunghezza e venivano regolarmente infilate nella cintura...oddio nei pantaloni, perché spesso erano le bretelle a sorreggerli.  Viso glabro da maialino da  latte, appena rasato, (una pro-forma, tanto peli non ve n’erano) ed un olezzo di dopo barba di cui il nome è ancora adesso disputa di scommesse gigantesche nel mondo pubblicitario. <<Hi, James – apostrofò – l’attendo nel mio ufficio!>> James deglutì nuovamente e, sfoderando uno dei suoi proverbiali sorrisi per cui tutte le segretarie dell’Agenzia avrebbero sfilato in tanga, rispose <<Of course, Mr. Wesson, naturally.>>
Ciò detto si infilò nell’ascensore dribblando la pancia del capo e, tirando un sospiro di sollievo, schiacciò il bottone con la targhetta che indicava “Reparto Creativo” 5° Piano. Arrivato, si fermò un attimo prima di varcare la porta a vetri, cercando di assumere l’espressione e quell’aria volutamente svagata, tra l’annoiato e il ”giàvisto-checazzovuoledirequesto-faialmenotrevarianti-Cristomanoncapiteuncazzo!” si accese la proverbiale Marlboro ed entrò.
E quello fu il suo primo errore.
Sarah lo attendeva seduta sullo sgabello girevole del tavolo da disegno di Marco, l’Art Director del gruppo creativo di punta della Smith&Wesson. Sarah era la ragazza di James. Nata a Miami, ma vissuta quasi sempre a Roma, aveva mantenuto quei tratti e quella spigliatezza accompagnata da una leggerezza dell’essere che è propria di chi ha conosciuto i natali in una città che, seppure non si possa paragonare nemmeno lontanamente alla capitale italiana, non porta sulle spalle il peso di un retaggio storico di secoli e secoli. Donna di notevole bellezza, di animo disponibile ed incline alla bontà, aveva però un difetto, questo decisamente latino: era tremendamente gelosa. La sua gelosia era irrefrenabile, irragionevole e incontrollabile. Durante gli attacchi le sue azioni avevano il marchio dell’imprevedibilità, non sapevi mai cosa si sarebbe inventata pur di raggiungere il suo scopo: controllare James, verificare la veridicità delle sue azioni e parole, un inferno insomma! L’Alitalia la considerava tra i suoi clienti Vip, Aveva la card “Freccia Alata” e la sfoderava ai check-in per avere la precedenza sui voli Az Roma – Milano. Lavorava come film-maker per una casa di produzione di Roma che curava la realizzazione e i doppiaggi del famoso personaggio disegnato dai fratelli Pagot: Calimero, il pulcino nero, protagonista di una serie fortunatissima e di grande successo di filmati messi in onda da Carosello. Calimero era un personaggio amatissimo dai giovani e meno giovani, vero compagno ed amico dei primi telespettatori Rai. Sarah ne curava l’editing ed il doppiaggio, mentre alle animazioni la maestria e la creatività dei fratelli Toni e Nino Pagot, inventori di Calimero, metteva le ali al filmato. <<’Morning James…>> disse Sarah, affettando noncuranza e sicurezza con un sorriso decisamente tirato che le disegnava qualche piccola ruga sul viso, <<dormito bene?>>
James non poté fare a meno di notare quella, ormai conosciutissima da lui, nota di acidità nelle parole di Sarah e si mise subito sulla difensiva:<< Hi, honey…quando sei arrivata? potevi chiamarmi, sarei venuto a prenderti, …certo ho dormito benissimo – disse mentendo spudoratamente e reprimendo il conato di vomito che lo assalì repentinamente al solo ricordo della colossale sbronza della sera precedente - hai già fatto colazione?>>  Sarah non rispose e lo guardò sorridendo poi di colpo si voltò e disse: <<Ti ho cercato ieri sera, non mi hai risposto, il telefono dava libero….dov’eri?>> James si attendeva quella domanda e, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi rispose << Ero a casa di Marco per buttare giù la strategia creativa del lancio di un nuovo detersivo concorrente di Ava…sai il budget è appena stato assegnato e il segreto professionale è d’obbligo…mi spiace per Calimero – disse con un ghigno satanico – abbiamo idee eccezionali, vero Marco?>> Qui James superò se stesso, ma fu il suo secondo errore.
Marco trasalì, ebbe un movimento scomposto che quasi lo proiettò sul pavimento dallo sgabello dove era seduto e, sgranando due occhi di un celeste acquoso perennemente umidi annuì, cercando nel contempo comprensione da Margherita, la segretaria che era appena entrata con un bicchiere di quel fetido caffè della macchinetta che dicevamo dianzi.  Marco era un venticinquenne diplomato alle Belle Arti di Brera che mentre faceva il cameriere nel periodo estivo a Ibiza, per sbarcare il lunario, aveva incontrato Mr. Smith per pura combinazione. In un momento decisamente increscioso per lui, ma altrettanto esilarante, aveva rovesciato il Martini sui pantaloni di quello che di lì a poco sarebbe stato il suo mentore, il suo “salvatore”. Mr Smith aveva inarcato il sopracciglio sinistro ed aveva assunto la classica espressione “ora ti faccio licenziare”, quando con immenso stupore degli astanti si produsse in una sonora risata e apostrofò Marco dicendogli <<Don’t worry, non preoccuparti, mi sei simpatico, siediti accanto a me, e dimmi come mai fai il cameriere? Non mi sembra proprio sia il tuo mestiere..>>
Marco aprì le cateratte, raccontò di se e della sua eterna sfiga e fu così che si aprirono per lui le porte della Smith & Wesson. Da allora, assegnato al reparto creativo come Jr Art Director, divenne a poco a poco il braccio destro di James. Ripresosi dalla momentanea defaillance, sfoderò uno dei suoi proverbiali sorrisi che avrebbe rattristato anche una iena ridens e disse a mezza voce: <<Certo Sarah, abbiamo lavorato sodo, tutta notte, la strategia creativa è quasi terminata sarà una bomba, vedrai, un’assoluta novità nel campo della comunicazione. >> Sarah lo guardò con lo stesso interesse con cui di solito si rimirava l’unghia del mignolo sinistro e disse con fare tra l’annoiato ed il minaccioso <<Sarà, ma ci crederò solo dopo aver visto e letto questa fantomatica strategia>> Così dicendo si alzò e dondolando il suo proverbiale fondoschiena si allontanò guadagnando la porta e creando scompigli tra lo stuolo di giovani grafici addetti alla stesura dei lay – out. <<Bravo Marco, e…thanks, ovviamente –disse James- sei stato di una prontezza di riflessi proverbiale, ma ora dobbiamo assolutamente buttare giù questa mitica strategia, pena il mio scuoiamento da parte delle unghie affilatissime di Sarah!>> Iniziarono il lavoro e, presi dal “trip creativo”, non si accorsero del tempo che passava se non quando la donna delle pulizie non spostò con la delicatezza di un elefante un cestino della carta con un perfetto drop di sinistro alla Maradona. James e Marco capirono allora che era ora di levare le tende ma sentendo di essere vicini alla meta, decisero di proseguire con la stesura della strategia seduti ad un tavolino del Jamaica davanti ad un buon “daiquiri”.
Fu così che in una notte di rhum, coca e Marlboro nacque la strategia creativa di lancio del nuovo detersivo che avrebbe dovuto sostituire nel gradimento delle consumatrici Calimero, l’ormai famoso pulcino nero testimone di un detersivo eccezionale. Con il progetto sottobraccio, barcollando James si avviò verso casa dopo aver salutato Marco che al nono daiquiri era scivolato sotto il tavolino del Jamaica addormentandosi con un sorriso ebete stampato sulla faccia. Arrivato nei pressi della darsena a Porta Ticinese, la sbronza montante cominciò a dare segni di insofferenza e James dovette appoggiarsi ad un lampione fu così che si accorse, in un momento di lucidità, che non aveva più nulla sottobraccio, la cartelletta contenente il progetto, la tanto decantata strategia, galleggiava pigramente nelle acque verdastre del Naviglio, finché, presa da un gorgo, non si inabissò del tutto. James la osservò a lungo e di colpo fu preso da improvvisa tristezza che si trasformò in una fragorosa risata, rideva di gusto James ubriaco fradicio appoggiato ad un lampione alle quattro di mattina a Porta Ticinese. Lo sferragliare del tram lo svegliò e fu allora che si accorse della tragica situazione in cui si trovava: conciato da far schifo, abbracciato ad un lampione aveva dormito tutta la notte sulla riva del Naviglio. E, quel che era peggio, tutto il lavoro fatto insieme a Marco era andato perso. “Maledetto rhum”, pensò, mentre si avviava verso casa. Evitò accuratamente lo sguardo di vicini e portinaia e, giunto nel suo appartamento, si gettò sul letto in preda allo sconforto. Si alzò, andò alla finestra, si accese l’ultima Marlboro imprecando e, socchiudendo gli occhi come soleva fare dopo aver visto tutti i film di Clint Eastwood, pensò a come uscire dal’impasse. Ora erano in due ad attenderlo al varco, il Cliente e Sarah e sinceramente era difficile capire quale dei due fosse più “abbordabile”. Mentre stava valutando la possibilità di una delle sue famose “fughe creative” che ogni tanto propinava ignominiosamente, ebbe un’idea, una luce si accese tra le nebbie del suo cervello. Quale era l’ostacolo maggiore che si frapponeva tra il nuovo detersivo e AVA, l’attuale, incontrastato leader del mercato? Ma Calimero, naturalmente. Ergo, eliminato Calimero, eliminato il problema. Elementare Watson! Rinfrancato da tanto acume sprizzato improvvisamente dalla sua materia grigia, si lavò, si fece la barba e diede un aspetto umano a quell’ectoplasma che lo scrutava dallo specchio. Uscì di casa e si diresse fischiettando verso Piazza Affari, al lavoro, ”his job” per l’appunto. Salutò la centralinista, che ebbe un mancamento al suo sorridere, e trionfante entrò nella sala creativi. Marco lo attendeva trascinando sul viso i segni della nottata passata sotto il tavolino del Jamaica. Gli andò incontro e sbadigliando gli chiese: << Dov’è la strategia, che la passo a Margherita per la battitura? I ragazzi sono pronti per supportarla con i lay out. >> E lì James, sfoderando uno dei suoi più ruffiani e accattivanti sorrisi mise al corrente Marco dell’accaduto. Questi ebbe un mancamento, afferrò un bisturi dal tavolo da disegno e James fece appena in tempo a fermarlo, mentre cercava di tagliarsi le vene. Fu allora che James spiegò al suo Assistente la nuova strategia: eliminare in qualsiasi modo Calimero, sic et simpliciter. Già, come se fosse facile…. L’arrivo di Sarah accese improvvisamente un lampione nel cervello di James. <<’Morning honey have you had a good night? Dormito bene dolcezza?>> le disse sorridendo e andandole incontro. Sarah lo guardava diffidente mentre James le stampava un bacio in fronte. <<Certo, molto bene – rispose- tu piuttosto, hai finito la strategia? Sono curiosa di leggerla, vediamo cosa sa fare questo famoso concorrente di Calimero>> << Cara sai bene che non posso fartela leggere, via, è concorrenza, però posso dirti che per completarla ho bisogno di fare un saltino a Roma presso gli studi cinematografici, devo verificare alcune cosette. Non è una splendida occasione? Possiamo ripartire insieme e passare un po’ di giorni a Roma è sempre piacevolissimo con te, poi…>> disse con quel suo sorriso da tombeur de femme. Sarah fu presa alla sprovvista e non seppe negarsi, così James passò in direzione, si fece dare un congruo anticipo sulla nota spese e, schiacciando l’occhio ad un Marco sempre più basito, disse rivolgendosi a Sarah ancora diffidente e sospettosa, <<Andiamo? Se ci sbrighiamo facciamo in tempo per il volo delle 14.10 da Linate, let’s go! >> Fecero in tempo, e presero l’aereo, due orette ed arrivarono a Roma. E qui James commise l’ultimo errore, il definitivo.
Dopo aver deposto i bagagli in albergo, il mitico Raphael nei pressi di Piazza Navona, ed aver bevuto un drink in compagnia di Sarah, la accompagnò nel suo ufficio e la lasciò dicendole:
<< Cara, esco a fare quattro passi mentre tu prepari i testi per i doppiaggi. Compro le Marlboro e torno tra un po’…è tanto che manco da Roma.>> Sorridendo attraversò l’atrio dell’ufficio di Sarah e appoggiandosi con i gomiti alla scrivania di Mary, la segretaria di Sarah chiese con fare ammiccante: << Scusa Mary, ti chiami così, vero? Sarah mi ha detto che debbo aspettarla nella sala di doppiaggio per quel nuovo filmato di Calimero…solo che io ho dimenticato l’indirizzo nel borsello in albergo, me lo puoi dare, cortesemente? >> Mary non seppe resistere e scrisse l’indirizzo su un foglietto mostrando un’abilità insospettabile, poiché scriveva e nel contempo guardava James dritto negli occhi. << Thanks dear, grazie cara >> – disse James- e le scoccò un bacio sulle labbra. Mary presa alla sprovvista cadde in deliquio e fu portata d’urgenza al pronto soccorso. Nel frattempo James era arrivato agli studi di doppiaggio e si era introdotto, mostrando il suo biglietto da visita della Smith & Wesson nella sala macchine dove, sulla moviola di lì a poco il nuovo Carosello di Ava interpretato da Calimero sarebbe passato il rallenty per il montaggio definitivo e per il doppiaggio che Sarah avrebbe curato per conto del Cliente. Fu un attimo, un lampo. Velocemente, approfittando di un attimo di distrazione dell’operatore James alzò l’intensità della lampada che proiettava la luce sulla pellicola per la lettura in slow-motion. Manovra pericolosissima, poiché poteva causare la bruciatura della pellicola e al limite, se non controllato, un incendio poiché il materiale infiammabile la faceva da padrone in quella sala. Salutò l’operatore, e in un attimo si dileguò nel traffico di Roma. Non passò neppure in albergo, andò direttamente all’aeroporto e prese il primo volo per Milano. Un taxi veloce e via nel suo appartamento sui Navigli a preparare una nuova valigia, stavolta più pesante, sarebbe tornato negli States, nella sua amata San Francisco, lontano da pulcini neri rompicoglioni e da fidanzate gelose ed isteriche, vita nuova, perdio! Mentre si rivestiva, con movimento riflesso accese il televisore e la sigla ormai famosissima di Carosello catturò la sua attenzione. Il filmato del detersivo tanto famoso non andò in onda, al suo posto uno scarno comunicato recitava:
“ Oggi pomeriggio un atto vandalico ha distrutto la pellicola del filmato che state aspettando. Questo gesto incosciente avrebbe potuto causare danni maggiori che fortunatamente per la prontezza dei vigili del fuoco non si sono avverati. Chiediamo scusa ai nostri piccoli telespettatori rassicurandoli, Calimero non è morto, presto tornerà, più piccolo e più nero di prima!”
James capì che il suo era stato un gesto inutile, puerile. Calimero non poteva morire, era come l’araba fenice, ogni volta tornava, dopo essere stato lavato con Ava…per diventare di nuovo nero.
Rassegnato si accese l’ultima Marlboro, si stese sul letto, e aspettò.
Di lì a poco bussarono alla porta…

© Franco Pucci 08/2009

sabato 13 aprile 2013

An-ghin-gò


An-ghin-gò ci vuole fantasia
recitare una antica filastrocca
far di polli e civette una poesia
dedicarla a una luna ceralacca

Cosa ci sarà mai di così tanto lieve e poetico
in questa bolsa filastrocca di civette e galline?
Bisognerebbe avere il cuore in calzoni corti,
sandali ai piedi e marciapiede come lavagna.
Poi un gessetto smozzicato di mattone rosso
e disegnare l’allegria di un cielo ancora terso.

An-ghin-gò con un po’ d’ironia
canterò dell’amore che sbocciò
le civette deluse son volate via
tre galline col dottore sul comò

Non era così la filastrocca, la ninna nanna
che stasera batte in testa come un mantra.
Certo, i calzoni corti son passati di misura
ma il cuore in papalina non dorme ancora.
La poesia è un gessetto che graffia il buio
senza sandali sarà comunque un girotondo.

Ti guardo e sorrido, non chiedermi perché.

venerdì 12 aprile 2013

Un déjà-vu alla porta


Uggiose stille di stantio inverno
cocciute lacrime di malumore
restie al richiamo dell’azzurro.

-scarabocchi nero di china nel cielo-

Nuvole indecise, cariche di noia.
Rincorro il sapore di un caffè
che ha venduto l’aroma al vento.

Inesausto refrain di emozioni.
Note arruffate di timori e angosce
premono arroganti sullo sterno.

-aspra al palato fragola immatura-

Sì, ci vorrebbe un respiro di sole.
Un sorriso di viole ammiccanti
e il coraggio di spalancare l’anima.

Bussa alla porta il déjà-vu.

martedì 9 aprile 2013

El tram che menava a la Bicocca


Dedicata a Enzo Jannacci

Scusami Enzo se sono in ritardo
ma il tram non arrivava mai,
perdonerai, ne son sicuro
il mio milanese dimenticato
ci provo “l’istess” come dicevi tu.

“per mi el quater l’è fa inscì
un Gambadelegn di temp indrè
cunt i roeudd de tolla sbusà”

Ora che un altro pezzo della Milano
che ho nel cuore se n’è andato
che piano piano l’orizzonte sfuma,
anche il piccolo viaggio in tram
“ciapà de cursa in Viale Zara”
s’allontana nei ricordi di periferia,
lascia il posto a un dolore pungente.

Una nuvola di spine laggiù sui prati
-nel verde scolorito dalla nebbia-
è cresciuta adesso e fa male al cuore
la nostalgia di un’età lasciata in fretta.

Scusami Enzo sono sempre in ritardo
era così anche allora quando il quattro
sferragliava sotto casa e la “morosa”
mi aspettava indispettita alla fermata.

E “si andava in campuréla” alla Bicocca
io avevo “ i scarp del tenis” e i jeans
comprati usati alla "Fiera di Senigallia”
e si cantava “Una fetta di limone”…

..è aspro quel ricordo senza di te.

Franco e il geco nella scatolina di latta


(Franco non dormiva
le persiane erano chiuse
Franco non dormiva
il buio lo circondava)

Era l’amico notturno
-un piccolo geco di casa-
aveva grandi occhi schiusi
d’alieno angelo custode.

Franco sognava l’azzurro
abbracciava il rosso cinabro
la scatolina di latta smaltata
era garitta di sentinella.

La notte è casa per i gechi
nei loro bunker smaltati
guardiani di sogni bambini
divorano le ubbie dei grandi.

Franco ad occhi aperti
-cuore di piccolo geco-
nel rosso cinabro di latta
conserva l’azzurro cielo.

lunedì 8 aprile 2013

Pulizie di primavera


Come un ninnolo
un soprammobile
un po’ démodé
specchio fedele
della vita volubile
non trovo posto.

E tu che sorridi
della mia innata  
irrequietezza
spolverami l’anima
lucidami il cuore
e dammi la pace.

Dove mi metti?


domenica 7 aprile 2013

Se avessi fiato suonerei l'armonica


Se avessi ancora fiato
suonerei per te l’armonica
-quella piccola Hohner-
Insolita, di plastica gialla
scandiva note argentine
era l’età che allora cantava.

Se avessi ancora fiato
ti scriverei parole in tutù
-étoile di falsa organza-
Scarpette gialle al debutto
nell'inattesa pièce d’autore
“la resurrezione del cigno”.

Se avessi ancora fiato
suonerei un valzer musette
-allegra danza nel cielo-
La mia nuvola intristita
lascerebbe al vento la rotta
salperei l’ancora dei sogni.

Basterebbe un po’ di fiato.

venerdì 5 aprile 2013

Raccontami una bugia


[nel buio il soffitto è più vicino
anche il respiro pare ingigantire
e la neve ha paura e seppellisce
sotto lenzuola complici la verità]

Non ho più niente da spartire
con un tempo che mi opprime
quel che mi restava l'ho sfiatato
rincorrendo l'ultimo tramonto.

-sogno un'offerta, un altro aire
una chance ai polmoni ansanti-

Né posso ingannare il sospetto
del dolore dietro un cancello.
Il cuore é negato dall'assenza
del tuo raccontare coraggio.

-se la verità ammutolirà il fiato
allora raccontami una bugia-

Comincia stanotte.

giovedì 4 aprile 2013

Disamore


È una lama d’acciaio, una luna piatta
la laguna stamane dopo l’ultima bora.
Non mi piace il sorriso che ripropone
specchio ipocrita di un’anima inquieta.

(riflette lassù un airone rosso in volo
grida e pare un lamento d’amore)

Non ho più l’accento, l’aire necessario
per costringere il mio cuore al canto,
i pensieri sono barchette di cellophane
che affondano pieni di rime inespresse.

(no, non è un airone è un gabbiano
stride rabbia per la sua goffaggine)

D'altronde come potrei volare ancora
l’azzurro oggi pare un sudario antico,
la mente rapita dall'inganno del nulla
rifiuta il più piccolo appiglio, una nota.

(no, un cormorano sazio d’avventura
distende le ali dopo l’ultima cena)

Non ho voglia di sciogliere questi dubbi
è noia, supponenza? Forse lo specchio
ha ingoiato le ultime velleità di poesia?
Scrivo per dirlo, m’aspetta nonostante.

Il disamore.

lunedì 1 aprile 2013

Formula sbagliata


Ancora una notte senza l’inganno chimico
la notte è un sacco nero di umido riciclato
l’Alka Seltzer impiastricciato sulla plastica
triste Pierrot d’una lacrimosa luna d’amore.

Indecise, restie dita, vagano tra i tasti neri
raccolgono sgorbi insensati alieni al bianco
piccoli insetti come formiche in fila indiana
s’intrecciano a malavoglia ricamando frasi.

E sono qui, filo in mano e ago nel costato
che inseguo una formula, un appiglio certo
mentre l’inganno latita maledico la chimica
invento un punto e croce di lettere insane.

Punti di sospensione rotolano sul lenzuolo
pungono le croci, algide lapidi a memoria.
Notte senza poesia, la tastiera non perdona
nell’atanor brucia un’improvvisata formula.