Chi ha ucciso Calimero?
L’aria nella stanza si era fatta pesante. L’imbarazzo e la
consapevolezza di averla combinata grossa avevano creato una coltre così spessa
che potevi tagliarla a fette. L’Art Director e il Copywriter si erano dati alla
latitanza occultandosi nello sgabuzzino che ospitava la macchina distributrice
di atroci merendine e pessimo caffè. Gli assistenti girellavano tra i tavoli
fingendo impegni improvvisi ed improcrastinabili, uno si era addirittura
affettato un’unghia con il bisturi mentre stava tagliando carte colorate. Era
trasalito alla domanda che il Direttore Creativo aveva posto: Chi ha ucciso
Calimero? Ma facciamo un passo indietro, anzi due. Si era agli inizi degli anni
sessanta e la pubblicità, come forma di comunicazione, votata soprattutto allo
sviluppo della vendita di prodotti, stava mano a mano prendendo piede e,
attraverso la televisione, scatola infernale che prometteva mirabolanti panacee
universali, stava conquistando un posto importantissimo nella vita di tutti i
giorni. Logico pensare che a seguito di tutto ciò sarebbero nate nuove
professioni e nuove figure professionali: I pubblicitari. Altrettanta logica e
naturale era stata la nascita di Agenzie Pubblicitarie, perlopiù emanazioni di
agenzie internazionali, americane soprattutto, che avevano conquistato il cuore
della city per elezione: Milano. Erano spuntate come funghi e i duelli all’arma
bianca per conquistarsi i clienti con i relativi opulenti budgets erano
all’ordine del giorno. Milano nel frattempo stava cambiando pelle, i vecchi
quartieri cari a tanta letteratura oleografica dei primi del novecento, piano
piano stavano scomparendo per lasciare posto a nuovi insediamenti, perlopiù
banche ed agenzie di pubblicità. La televisione nel frattempo aveva conquistato
uno spazio sempre più importante nella vita quotidiana e la nascita di un
“programmino” tutto dedicato alla pubblicità aveva conquistato dignità e
“audience” attraverso la proposizione di filmati che, seppur brevi,
raccontavano la pubblicità in forme di spettacolo a volte molto gradevole. Era
nato “Carosello”! Tutto cominciò da lì...
James si alzò di malavoglia,
aveva ancora sonno nonostante avesse dormito otto ore filate dopo la colossale
sbronza di pessimo whisky mischiato ad un altrettanto fetido rhum tracannati al
Jamaica, storico locale per artisti che trovavi aperto ad accoglierti sino a
tardi in via Brera, a due passi dal centro di Milano. Aveva la testa pesante,
un alito a dir poco omicida e, nell’attesa di un qualsiasi segno di vita da
parte della caffettiera che soffriva sul fuoco, si accese la prima di un’interminabile
sequela di sigarette che avrebbe accompagnato la sua giornata avvolgendola
costantemente di una nuvoletta di fumo. Marlboro, of course. Stiracchiandosi si
avvicinò alla finestra che dava sulla darsena. I barconi carichi di improbabili
e misteriose merci erano lì, pronti a risalire il Naviglio per arrivare sino al
Ticino, a Pavia. Aprì la finestra e mentre osservava distrattamente questo
storico angolo della vecchia Milano, il suo pensiero veleggiò verso la città
natia: San Francisco.
Sì perché James era americano,
uno dei tanti creativi pubblicitari
che il provincialismo dei clienti italiani e la spocchia delle agenzie
americane avevano reclutato negli States, patria della pubblicità, o meglio dell’“advertising”
come dicevano loro. Alto, sui trent’anni mascella volitiva e quadrata, tratto
somatico che denotava indubbie origini americane, era però di un colorito
perennemente tra il grigio e l’olivastro decisamente malsano retaggio di una
vita notturna piena, non solo di alcool. Marlboro perennemente accesa all’angolo
della bocca, capello vagamente lungo a ricordo di trascorsi beat, sorrideva poco,
solo il necessario.
Jeans rigorosamente Levi’s
Original e camicia che aveva visto giorni migliori nelle lavanderie automatiche
del suo quartiere natio a San Francisco, completavano il look volutamente fané,
da intellettuale maledetto, alla Bukowski. La caffettiera nel frattempo aveva
perso la voce nei continui e inutili richiami e il caffè era diventato
decisamente imbevibile. James decise allora che avrebbe fatto colazione al bar
dell’angolo, in Piazza Affari, proprio sotto la sede dell’Agenzia Pubblicitaria
per cui lavorava e da cui era stato assunto con la mansione di Direttore
Creativo, profumatamente pagato e con una serie interminabile di bonus che
arricchivano il suo contratto. Ivi compreso l’alloggio, uno splendido, piccolo
loft a Porta Ticinese, prospiciente la darsena.
Prese al volo il tram, (impossibile
parcheggiare qualsiasi mezzo di locomozione che non sia una bicicletta in
Piazza Affari a Milano), e in un amen scese a Piazza Cordusio…”near my job”
come soleva dire quando descriveva la sua vita da “emigrante di lusso” ai suoi
compatrioti. Entrò immediatamente nel Bar “Affari tuoi” prospiciente l’ingresso
dell’Agenzia e ordinò con fare annoiato: <<Un cappuccio, please.>>
Mario il barman aveva imparato a
conoscerlo ormai e affettava con lui una confidenza altrimenti negata ad altri
clienti <<Giornataccia, eh, James?>> disse scrutando il viso
dell’interlocutore che navigava tra l’annoiato e l’addormentato, per poi virare
decisamente sull’incazzato. <<Oh, yes! - rispose James -mi aspettano in
agenzia per una serie di maledettissimi e strarompicoglioni di brainstorming non li sopporto proprio, è
una tale rottura>> così dicendo portò la tazzina alle labbra e blaterò
una frase irripetibile che a Mario sembrò significare un’impronunciabile
bestemmia. <<My God! Ma è bollente! Quante volte ti ho detto che lo voglio
tiepido il cappuccino>> ciò detto addentò la brioche riscaldata che Mario
gli aveva propinato (tanto è americano) e, senza profferire altro, prese
l’uscio e si precipitò in strada. <<Segno. eh, James….>> Mario aprì
il libricino e allungò la lista del conto che James aveva in sospeso e che
regolarizzava ogni fine mese. James nel frattempo con quattro falcate rapide era
arrivato a destinazione.
Una rampa di scalini di marmo
portavano ad un ingresso ampio con volte molto alte, caratteristiche dei
palazzi fine secolo che davano sulla piazza. Una targa in ottone che brillava
per i raggi del sole, recitava in modo discreto e volutamente minimale: “Smith
& Wesson – Advertising & Sales Promotion”. Il piano non era indicato,
poiché l’Agenzia occupava tutti e cinque i piani del palazzo. L’ingresso,
arredato in stile ultramoderno cozzava alquanto con l’immagine che il palazzo
dava di se a chi vi si approcciava dall’esterno. Divani di pelle rossa sparsi
con noncuranza ed apparente disordine, ammennicoli vari sicuramente di alto
design, ma che dell’inutilità intrinseca facevano bella mostra, quadri futuristi
alle pareti, talmente futuristi che impegnavano le persone in attesa ponendo
loro il cruciale dilemma: “Sono io che non capisco un cazzo o sono davanti ad
un opera storica?” Normalmente propendevano per la prima soluzione, intimoriti
dall’ambiente socio-cultural-avanzato, ma i più disincantati concludevano
sedendosi con un ghigno “E’ una merda, una vera crosta!” Maggie, la “centralinista-reception-tuttofare-portaicaffèinsalariunioni”
lo accolse con un sorriso speranzoso <<Hi, James, how’re you?>>
<<Bene…>> bofonchiò il nostro e si diresse velocemente verso
l’ascensore. Non voleva dare assolutamente corda a Maggie, per non creare
attriti e invidie presso le donne dell’Agenzia. Sì perché James era considerato
un ottimo partito, buono per ogni uso, matrimonio, convivenza, una botta e via,
qui sulle scale, sopra la macchina delle fotocopie…insomma: ovunque e comunque!
Poi. con quel che guadagnava, vuoi mettere..
Ma quella non era una mattinata
felice per James, avrebbe dovuto capirlo dai molteplici segnali ed avvertimenti
che il mattino gli aveva lanciato…il cappuccio bollente, le sigarette che
avevano un deciso aroma che ricordava lo stallatico delle farms texane, insomma tutti i prodromi di una vera e propria,
gigantesca giornata di merda! Deglutì quando le porte dell’ascensore si
aprirono e si trovò di fronte Mr. Wesson, ceo dell’Agenzia e Dio in terra per
tutti i dipendenti. Mr. Wesson era un ometto insignificante che dimostrava
molto di più dei suoi 55 anni. Di corporatura decisamente robusta, normalmente
indossava abiti di una taglia superiore, per via di una pancia prominente che
ne minava la stabilità. Regolarmente abiti color grigio indefinito, da travet
parastatale che a malapena coprivano camicie impresentabili, stazzonate come
normalmente succede ai single americani, dato che il ferro da stiro è un
elettrodomestico pressoché sconosciuto da quelle parti. Cravatte..e qui si potrebbe aprire un capitolo
a parte per quanto attiene la “range” di questo accessorio. Colori e
decorazioni incredibili lasciavano spesso il posto a cravatte grigio topo o
fumo di Londra, regolarmente annodate con un nodo piccolissimo al colletto non
certo inamidato della camicia, penzolavano con tutta la loro lunghezza e
venivano regolarmente infilate nella cintura...oddio nei pantaloni, perché
spesso erano le bretelle a sorreggerli. Viso
glabro da maialino da latte, appena
rasato, (una pro-forma, tanto peli non ve n’erano) ed un olezzo di dopo barba
di cui il nome è ancora adesso disputa di scommesse gigantesche nel mondo
pubblicitario. <<Hi, James – apostrofò – l’attendo nel mio ufficio!>>
James deglutì nuovamente e, sfoderando uno dei suoi proverbiali sorrisi per cui
tutte le segretarie dell’Agenzia avrebbero sfilato in tanga, rispose <<Of
course, Mr. Wesson, naturally.>>
Ciò detto si infilò
nell’ascensore dribblando la pancia del capo e, tirando un sospiro di sollievo,
schiacciò il bottone con la targhetta che indicava “Reparto Creativo” 5° Piano.
Arrivato, si fermò un attimo prima di varcare la porta a vetri, cercando di
assumere l’espressione e quell’aria volutamente svagata, tra l’annoiato e il ”giàvisto-checazzovuoledirequesto-faialmenotrevarianti-Cristomanoncapiteuncazzo!”
si accese la proverbiale Marlboro ed entrò.
E quello fu il suo primo errore.
Sarah lo attendeva seduta sullo
sgabello girevole del tavolo da disegno di Marco, l’Art Director del gruppo
creativo di punta della Smith&Wesson. Sarah era la ragazza di James. Nata a
Miami, ma vissuta quasi sempre a Roma, aveva mantenuto quei tratti e quella
spigliatezza accompagnata da una leggerezza dell’essere che è propria di chi ha
conosciuto i natali in una città che, seppure non si possa paragonare nemmeno
lontanamente alla capitale italiana, non porta sulle spalle il peso di un
retaggio storico di secoli e secoli. Donna di notevole bellezza, di animo
disponibile ed incline alla bontà, aveva però un difetto, questo decisamente
latino: era tremendamente gelosa. La sua gelosia era irrefrenabile,
irragionevole e incontrollabile. Durante gli attacchi le sue azioni avevano il
marchio dell’imprevedibilità, non sapevi mai cosa si sarebbe inventata pur di
raggiungere il suo scopo: controllare James, verificare la veridicità delle sue
azioni e parole, un inferno insomma! L’Alitalia la considerava tra i suoi
clienti Vip, Aveva la card “Freccia Alata” e la sfoderava ai check-in per avere
la precedenza sui voli Az Roma – Milano. Lavorava come film-maker per una casa
di produzione di Roma che curava la realizzazione e i doppiaggi del famoso
personaggio disegnato dai fratelli Pagot: Calimero, il pulcino nero,
protagonista di una serie fortunatissima e di grande successo di filmati messi
in onda da Carosello. Calimero era un personaggio amatissimo dai giovani e meno
giovani, vero compagno ed amico dei primi telespettatori Rai. Sarah ne curava
l’editing ed il doppiaggio, mentre alle animazioni la maestria e la creatività
dei fratelli Toni e Nino Pagot, inventori di Calimero, metteva le ali al
filmato. <<’Morning James…>> disse Sarah, affettando noncuranza e
sicurezza con un sorriso decisamente tirato che le disegnava qualche piccola
ruga sul viso, <<dormito bene?>>
James non poté fare a meno di
notare quella, ormai conosciutissima da lui, nota di acidità nelle parole di
Sarah e si mise subito sulla difensiva:<< Hi, honey…quando sei arrivata?
potevi chiamarmi, sarei venuto a prenderti, …certo ho dormito benissimo – disse
mentendo spudoratamente e reprimendo il conato di vomito che lo assalì
repentinamente al solo ricordo della colossale sbronza della sera precedente -
hai già fatto colazione?>> Sarah
non rispose e lo guardò sorridendo poi di colpo si voltò e disse: <<Ti ho
cercato ieri sera, non mi hai risposto, il telefono dava
libero….dov’eri?>> James si attendeva quella domanda e, sfoderando uno
dei suoi migliori sorrisi rispose << Ero a casa di Marco per buttare giù
la strategia creativa del lancio di un nuovo detersivo concorrente di Ava…sai
il budget è appena stato assegnato e il segreto professionale è d’obbligo…mi
spiace per Calimero – disse con un ghigno satanico – abbiamo idee eccezionali,
vero Marco?>> Qui James superò se stesso, ma fu il suo secondo errore.
Marco trasalì, ebbe un movimento
scomposto che quasi lo proiettò sul pavimento dallo sgabello dove era seduto e,
sgranando due occhi di un celeste acquoso perennemente umidi annuì, cercando
nel contempo comprensione da Margherita, la segretaria che era appena entrata
con un bicchiere di quel fetido caffè della macchinetta che dicevamo dianzi. Marco era un venticinquenne diplomato alle
Belle Arti di Brera che mentre faceva il cameriere nel periodo estivo a Ibiza,
per sbarcare il lunario, aveva incontrato Mr. Smith per pura combinazione. In
un momento decisamente increscioso per lui, ma altrettanto esilarante, aveva
rovesciato il Martini sui pantaloni di quello che di lì a poco sarebbe stato il
suo mentore, il suo “salvatore”. Mr Smith aveva inarcato il sopracciglio
sinistro ed aveva assunto la classica espressione “ora ti faccio licenziare”,
quando con immenso stupore degli astanti si produsse in una sonora risata e
apostrofò Marco dicendogli <<Don’t worry, non preoccuparti, mi sei
simpatico, siediti accanto a me, e dimmi come mai fai il cameriere? Non mi
sembra proprio sia il tuo mestiere..>>
Marco aprì le cateratte, raccontò
di se e della sua eterna sfiga e fu così che si aprirono per lui le porte della
Smith & Wesson. Da allora, assegnato al reparto creativo come Jr Art
Director, divenne a poco a poco il braccio destro di James. Ripresosi dalla
momentanea defaillance, sfoderò uno dei suoi proverbiali sorrisi che avrebbe
rattristato anche una iena ridens e disse a mezza voce: <<Certo Sarah,
abbiamo lavorato sodo, tutta notte, la strategia creativa è quasi terminata
sarà una bomba, vedrai, un’assoluta novità nel campo della comunicazione. >>
Sarah lo guardò con lo stesso interesse con cui di solito si rimirava l’unghia
del mignolo sinistro e disse con fare tra l’annoiato ed il minaccioso
<<Sarà, ma ci crederò solo dopo aver visto e letto questa fantomatica
strategia>> Così dicendo si alzò e dondolando il suo proverbiale
fondoschiena si allontanò guadagnando la porta e creando scompigli tra lo
stuolo di giovani grafici addetti alla stesura dei lay – out. <<Bravo
Marco, e…thanks, ovviamente –disse James- sei stato di una prontezza di
riflessi proverbiale, ma ora dobbiamo assolutamente buttare giù questa mitica
strategia, pena il mio scuoiamento da parte delle unghie affilatissime di
Sarah!>> Iniziarono il lavoro e, presi dal “trip creativo”, non si
accorsero del tempo che passava se non quando la donna delle pulizie non spostò
con la delicatezza di un elefante un cestino della carta con un perfetto drop
di sinistro alla Maradona. James e Marco capirono allora che era ora di levare
le tende ma sentendo di essere vicini alla meta, decisero di proseguire con la
stesura della strategia seduti ad un tavolino del Jamaica davanti ad un buon
“daiquiri”.
Fu così che in una notte di rhum,
coca e Marlboro nacque la strategia creativa di lancio del nuovo detersivo che
avrebbe dovuto sostituire nel gradimento delle consumatrici Calimero, l’ormai
famoso pulcino nero testimone di un detersivo eccezionale. Con il progetto sottobraccio,
barcollando James si avviò verso casa dopo aver salutato Marco che al nono
daiquiri era scivolato sotto il tavolino del Jamaica addormentandosi con un
sorriso ebete stampato sulla faccia. Arrivato nei pressi della darsena a Porta
Ticinese, la sbronza montante cominciò a dare segni di insofferenza e James
dovette appoggiarsi ad un lampione fu così che si accorse, in un momento di
lucidità, che non aveva più nulla sottobraccio, la cartelletta contenente il
progetto, la tanto decantata strategia, galleggiava pigramente nelle acque
verdastre del Naviglio, finché, presa da un gorgo, non si inabissò del tutto.
James la osservò a lungo e di colpo fu preso da improvvisa tristezza che si
trasformò in una fragorosa risata, rideva di gusto James ubriaco fradicio
appoggiato ad un lampione alle quattro di mattina a Porta Ticinese. Lo
sferragliare del tram lo svegliò e fu allora che si accorse della tragica
situazione in cui si trovava: conciato da far schifo, abbracciato ad un lampione
aveva dormito tutta la notte sulla riva del Naviglio. E, quel che era peggio,
tutto il lavoro fatto insieme a Marco era andato perso. “Maledetto rhum”,
pensò, mentre si avviava verso casa. Evitò accuratamente lo sguardo di vicini e
portinaia e, giunto nel suo appartamento, si gettò sul letto in preda allo
sconforto. Si alzò, andò alla finestra, si accese l’ultima Marlboro imprecando
e, socchiudendo gli occhi come soleva fare dopo aver visto tutti i film di
Clint Eastwood, pensò a come uscire dal’impasse. Ora erano in due ad attenderlo
al varco, il Cliente e Sarah e sinceramente era difficile capire quale dei due
fosse più “abbordabile”. Mentre stava valutando la possibilità di una delle sue
famose “fughe creative” che ogni tanto propinava ignominiosamente, ebbe
un’idea, una luce si accese tra le nebbie del suo cervello. Quale era
l’ostacolo maggiore che si frapponeva tra il nuovo detersivo e AVA, l’attuale,
incontrastato leader del mercato? Ma Calimero, naturalmente. Ergo, eliminato
Calimero, eliminato il problema. Elementare Watson! Rinfrancato da tanto acume
sprizzato improvvisamente dalla sua materia grigia, si lavò, si fece la barba e
diede un aspetto umano a quell’ectoplasma che lo scrutava dallo specchio. Uscì
di casa e si diresse fischiettando verso Piazza Affari, al lavoro, ”his job”
per l’appunto. Salutò la centralinista, che ebbe un mancamento al suo
sorridere, e trionfante entrò nella sala creativi. Marco lo attendeva
trascinando sul viso i segni della nottata passata sotto il tavolino del Jamaica.
Gli andò incontro e sbadigliando gli chiese: << Dov’è la strategia, che
la passo a Margherita per la battitura? I ragazzi sono pronti per supportarla
con i lay out. >> E lì James, sfoderando uno dei suoi più ruffiani e
accattivanti sorrisi mise al corrente Marco dell’accaduto. Questi ebbe un
mancamento, afferrò un bisturi dal tavolo da disegno e James fece appena in
tempo a fermarlo, mentre cercava di tagliarsi le vene. Fu allora che James
spiegò al suo Assistente la nuova strategia: eliminare in qualsiasi modo
Calimero, sic et simpliciter. Già, come se fosse facile…. L’arrivo di Sarah
accese improvvisamente un lampione nel cervello di James. <<’Morning honey
have you had a good night? Dormito bene dolcezza?>> le disse sorridendo e
andandole incontro. Sarah lo guardava diffidente mentre James le stampava un
bacio in fronte. <<Certo, molto bene – rispose- tu piuttosto, hai finito
la strategia? Sono curiosa di leggerla, vediamo cosa sa fare questo famoso
concorrente di Calimero>> << Cara sai bene che non posso fartela
leggere, via, è concorrenza, però posso dirti che per completarla ho bisogno di
fare un saltino a Roma presso gli studi cinematografici, devo verificare alcune
cosette. Non è una splendida occasione? Possiamo ripartire insieme e passare un
po’ di giorni a Roma è sempre piacevolissimo con te, poi…>> disse con
quel suo sorriso da tombeur de femme. Sarah fu presa alla sprovvista e non
seppe negarsi, così James passò in direzione, si fece dare un congruo anticipo
sulla nota spese e, schiacciando l’occhio ad un Marco sempre più basito, disse
rivolgendosi a Sarah ancora diffidente e sospettosa, <<Andiamo? Se ci
sbrighiamo facciamo in tempo per il volo delle 14.10 da Linate, let’s go!
>> Fecero in tempo, e presero l’aereo, due orette ed arrivarono a Roma. E
qui James commise l’ultimo errore, il definitivo.
Dopo aver deposto i bagagli in
albergo, il mitico Raphael nei pressi di Piazza Navona, ed aver bevuto un drink
in compagnia di Sarah, la accompagnò nel suo ufficio e la lasciò dicendole:
<< Cara, esco a fare
quattro passi mentre tu prepari i testi per i doppiaggi. Compro le Marlboro e
torno tra un po’…è tanto che manco da Roma.>> Sorridendo attraversò
l’atrio dell’ufficio di Sarah e appoggiandosi con i gomiti alla scrivania di
Mary, la segretaria di Sarah chiese con fare ammiccante: << Scusa Mary,
ti chiami così, vero? Sarah mi ha detto che debbo aspettarla nella sala di
doppiaggio per quel nuovo filmato di Calimero…solo che io ho dimenticato
l’indirizzo nel borsello in albergo, me lo puoi dare, cortesemente? >>
Mary non seppe resistere e scrisse l’indirizzo su un foglietto mostrando un’abilità
insospettabile, poiché scriveva e nel contempo guardava James dritto negli
occhi. << Thanks dear, grazie cara >> – disse James- e le scoccò un
bacio sulle labbra. Mary presa alla sprovvista cadde in deliquio e fu portata
d’urgenza al pronto soccorso. Nel frattempo James era arrivato agli studi di
doppiaggio e si era introdotto, mostrando il suo biglietto da visita della
Smith & Wesson nella sala macchine dove, sulla moviola di lì a poco il
nuovo Carosello di Ava interpretato da Calimero sarebbe passato il rallenty per
il montaggio definitivo e per il doppiaggio che Sarah avrebbe curato per conto
del Cliente. Fu un attimo, un lampo. Velocemente, approfittando di un attimo di
distrazione dell’operatore James alzò l’intensità della lampada che proiettava
la luce sulla pellicola per la lettura in slow-motion. Manovra pericolosissima,
poiché poteva causare la bruciatura della pellicola e al limite, se non controllato,
un incendio poiché il materiale infiammabile la faceva da padrone in quella
sala. Salutò l’operatore, e in un attimo si dileguò nel traffico di Roma. Non
passò neppure in albergo, andò direttamente all’aeroporto e prese il primo volo
per Milano. Un taxi veloce e via nel suo appartamento sui Navigli a preparare
una nuova valigia, stavolta più pesante, sarebbe tornato negli States, nella
sua amata San Francisco, lontano da pulcini neri rompicoglioni e da fidanzate
gelose ed isteriche, vita nuova, perdio! Mentre si rivestiva, con movimento
riflesso accese il televisore e la sigla ormai famosissima di Carosello catturò
la sua attenzione. Il filmato del detersivo tanto famoso non andò in onda, al
suo posto uno scarno comunicato recitava:
“ Oggi pomeriggio un atto vandalico ha distrutto la pellicola del
filmato che state aspettando. Questo gesto incosciente avrebbe potuto causare
danni maggiori che fortunatamente per la prontezza dei vigili del fuoco non si
sono avverati. Chiediamo scusa ai nostri piccoli telespettatori rassicurandoli,
Calimero non è morto, presto tornerà, più piccolo e più nero di prima!”
James capì che il suo era stato
un gesto inutile, puerile. Calimero non poteva morire, era come l’araba fenice,
ogni volta tornava, dopo essere stato lavato con Ava…per diventare di nuovo
nero.
Rassegnato si accese l’ultima
Marlboro, si stese sul letto, e aspettò.
Di lì a poco bussarono alla porta…
© Franco Pucci
08/2009
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