crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

martedì 31 dicembre 2013

Un anno in bilico su di un chicco rosso sangue

Un chicco di melagrana è rimasto sul desco.

Niobe e Persefone reclamano la maternità
dell’irresoluta sorte del mondo che si pasce
senza ritegno alcuno della fecondità terrena
nel mentre uccide i suoi figli ad uno ad uno,
sgranandoli negli Inferi come chicchi reietti
rossi grani di rosario per farisaiche penitenze.

Un chicco di melagrana riflesso nel cristallo.

Sollevo il calice di rito, non posso fare a meno
di notare e rendermi partecipe della angoscia
che opprime il piccolo seme, la sua incertezza
è frutto della dicotomia insita nella sua natura.
Vita e Morte. Rigoglioso anno a venire o arida
palla di roveto rotolante nel deserto dell’Ade?

Mistifico il gesto beneaugurante. Prosit.

giovedì 19 dicembre 2013

Nella calle l'eco del mio Natale

è per te che ancora rincorri
farfalle notturne e lucertole
che al mattino sculacci i sogni
per la paura dell’abbandono

è per te che ai tuoi calzoni corti
hai appeso la fionda consumata
che ancora provi nuovo stupore
nel rimirar la vita che è sanata

Questo canto parve sciogliersi nella calle
una eco -un prato su cui correre ancora-
un coro che solo la mia anima tetragona
ad ogni emozione, paurosa dell’universo
poteva percepire al pari di lieve angoscia
prima che i rintocchi placassero i sussulti.

Ma forse sono io che canto questa canzone
la mia dedica a quel che resta del bambino
che vorrebbe fosse fiaba ancora il racconto
da scrivere nel libro dalle pagine sfiancate,
ingiallite dal tempo come foglie d’autunno,
caduche sulla neve che incanutisce il sogno.

-questa voce mi somiglia e racconta-

L’aria profumava di legno e mandarino
le strade erano lucciole imbrillantinate
e gli zampognari musicanti nella neve
del soffice e ovattato battere del cuore.

Che resta di quel respiro di quella malia
ora che anche l’incenso è polvere sottile
che lo sguardo è prono sui propri passi
e le ombre riflettono orbe delle vetrine?

Resta solo la vergogna, la memoria obliata
profitto sulla pelle di cristi senza più croce
l’ignavia e la menzogna propinata ai cuori
sogni affogati e speranze da cinismo illuse.

è per te che ancora ti commuovi
al veder il cavalier di terracotta
sul cavallo con l’anima di ferro
zoppo di guerre perse nel gioco

è per te che vorrei questo Natale
fosse il profumo delle caldarroste
il sorriso di occhi volti al domani
e lucciole indaffarate nelle vetrine

-per me sorride nella calle questa eco-


venerdì 13 dicembre 2013

Al fuoco, al fuoco!

Così sia, sino all'ultima pagina.

Nel deserto della ragione si faccia questo falò
-vedremo ballare intorno alla pira le ombre-
disarticolate nel rito macabro dell’ignoranza.

Per tutti quelli che oggi la memoria alienano
per quelli che stravolgono le parole tra i denti
quelli per cui infine il libro è spina nel costato.

Non ho vissuto primavere bastanti a questo
-straziano al solo pensiero le fiamme di carta-
non ho neve a sufficienza per placare il cuore.

Si griderà “al fuoco, al fuoco” -dopo la cenere-


La sirena dagli occhi di giada

È quando il nulla ti soffoca in un abbraccio esagerato
che il buio ti pare tenera culla e ti adagi alla cantilena.
La sirena che martella nel tuo cuore ha occhi di giada
e la sua voce riconosce ogni anfratto della tua anima.

Potrei raccontarti come ho inseguito lucciole svampite
sospeso in un limbo di cera mentre il palco della notte
illuminato da una miriade di led multicolori sfumava,
all'orizzonte la vita parve riprendere il fiato imbolsito.

La sirena incanto del nulla ebbe voce di tenera amante
ma lo sguardo celava la notte dietro il lampo prezioso.
Sulle mani le lucciole ora disegnano le linee della vita
e non hanno occhi di giada, ma il sorriso della fortuna.

Il sorriso accecò la giada e il nulla non ebbe più voce.

mercoledì 11 dicembre 2013

Come Quando Fuori Piove

non erano belle carte
non era la mia mano
puntai il resto al banco
avevo un due di picche

“Lei è proprio un miracolato, sa?”
-dietro il sorriso il camice bianco-
Ero piccato, stentavo a crederlo
avevo puntato in quel successo.

Poi il lampo degli occhi acquosi
del vecchio mendico per strada
raccontarono ai miei la fortuna,
l’umiltà che era dovuta alla vita.

non erano belle carte
non era la mia mano
puntai il resto al banco
e vinsi con la scartina

Altre partite m’hanno atteso
altre per ignavia ho disatteso
ma ora so che se ti ho a fianco
il gioco ha più chance, vinco.

La fortuna è veleno giallo, ride
negli occhi acquosi di quel joker
“sei convinto d’esser un leone?
sappi, c’è chi t’ha regalato l’alea”

[non odiarmi vecchio, non c’è fumo per te
nelle tasche m’è rimasto solamente il filtro
e un sorriso -ti basterà- il resto l’ho giocato
ora ho quattro semi da regalare a chi crede]

-Come Quando Fuori Piove-







martedì 10 dicembre 2013

Piove nebbia come zucchero filato e trine di lino

La periferia di Milano si appiccica alla pelle
come sottile nebbia di dolce zucchero filato,
la darsena è porto sicuro per giovani rossori.

-il Naviglio, la gibigiana-

La laguna a Chioggia ti veste come un guanto
e intreccia di verdi alghe il trine del corsetto,
poi gioca a nascondino tra il sole e la nebbia.

-il mare, lo specchietto-

Non ho riparo ai ricordi, la vita è un luna park
nella casa degli specchi rincorro la mia ombra,
ragnatela intrecciata come uno scialle di lino.

-la nebbia, sul mio cuore-

Come vedi padre l’acqua ha disegnato il passo
nel gioco dei riflessi la tua immagine riaffiora,
nell'andare e venire delle onde io ti racconto.

-piove, amaro è lo zucchero filato e liso il trine-

mercoledì 4 dicembre 2013

La stola di lupo appesa al marmo

Hanno ucciso il lupo cattivo
le beghine sfilano in gramaglie
ora il vizio lo portano al collo
il pelo titilla l’utero distratto.

Il necrologio del bar all'angolo
recita accanto alle tazzine da caffè
il rosso pennarello insulta il lutto
e il corteo è diaspora tra le paste.

[l’assassino che si cela nel costato
dell’algido cuore restio al nuovo
è chiarore delle zanne nella notte
che alletta e violenta il femminino]

Hanno ucciso il lupo precario
coscienze ipocrite brindano il fiele
la stola blu sulla gru della fabbrica
è sirena muta agli occhi disperati.

La lapide al cimitero pare un erme
epitaffio la stola appesa al marmo
deflorato dal rosso fulvo del pelo
dileggia l’ironia viscida del potere.

-vieni, c’è una strada nel mare-