crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

giovedì 27 ottobre 2011

Messaggio in bottiglia (una notte di fine Ottobre)

[un  tonfo inatteso stanotte ha straziato il silenzio
con un fragore assurdo è rotolato nella calle]

I sampietrini rimandavano echi di note spezzate
gelide rimbalzavano come cubetti di ghiaccio
sull’acciottolato inseguendo lo scorrere dell’acqua.
Lo stridente rumore di questa notte frantumata
lacerava come rasoio affilato un’anima intorpidita
dalla lunga agonia di una apatica dimenticanza.

[brillava di luce sinistra il vetro nella notte lunatica
feriva lo sguardo il suo lucore riflesso nel dondolio]

Fu un lampo la discesa in strada, breve la rincorsa
e fiato mozzato la presa al collo della bottiglia
ma il contenuto pietrificò la mia insonne ingordigia.
Mentre l’acqua moriva la sua corsa senza gemito
l’urlo di un gatto innamorato avverso alla luna
sfiniva le attese di una quiete altrimenti abusata.
Le parole scolorirono nel foglio tra le mani tremanti.
quando la luna beffarda ingiallì in un ghigno sdentato.
Passò un’allegra processione illuminando il canale,
mille lucciole ondeggianti irrisero la mia stupidità
e il messaggio fu risata che arrossì i battiti del cuore.

…vuoto a perdere…

mercoledì 26 ottobre 2011

Il bacio rubato

Rose tea gialle ricche di invidioso colore
volavano allegre oltre il muretto della villa.
Maggio inoltrato chiamava ai piccoli delitti,
il tepore delle serate portava con se l’alibi
e l’irresistibile profumo della trasgressione.

Pennellate d’oro impreziosivano le ali rosa
nel mazzetto di roselline di rovo tra le mani.
Indossando il sorriso della furba innocenza
porgevi l’omaggio a tua madre per la festa
da provetto attore porgevi la gota in attesa.

Lo schiocco delle labbra allora perdonava
il bacio rubato senza alibi così, per amore.

lunedì 24 ottobre 2011

Ieri, un fiocco di nuvola

L’urlo disperato di un gabbiano, forse troppo in alto e troppo solo, falciò come erba gramigna il piccolo campo di nuvole che andava rosseggiando all'Est. Fiocchi d’incredibile neve spolverarono il crespo tranquillo del blu all'orizzonte e il sole scopertosi nudo decise che non avrebbe atteso il canto del gallo. Un nuovo giorno. Una nuova stagione. La lama di luce ferì i miei occhi mentre il riflesso dorato si spezzettava in miriade di piccoli diamanti sul mare. Decisi allora che l’emozione valeva il tentativo di sollecitare la memoria ornai disusa a contenere le emozioni e le pulsioni che il cuore provava ciclicamente. Affannosa ricerca di un lapis, di un lembo di carta. Nulla. Nulla di tutto quello che sgorgava dal cuore e mi turbinava nella mente, sarebbe potuto essere annotato, scritto, tramandato. Angoscia. Il gabbiano smorzò il suo canto sgraziato producendosi in un’ardita quanto improbabile evoluzione e ammarò poco distante. L’ultimo fiocco di nuvola planò dolcemente tra la neve che da tempo incorona il mio capo. Fu allora che decisi di violentare la memoria e scolpii nella mente il nome di quell'emozione: poesia. Sì, poesia, un banalissimo e scontato appunto nel block notes dei sentimenti, sottolineato con la matita blu dell’emozione. Ora è lì, campeggia solitario nel bianco. Lo spazio vuoto che le siede accanto attende da tempo che il fiocco di nuvola sciogliendosi porti via scolorando la neve degli antichi ricordi e le dita riprendano a inseguire il ticchettio delle parole. Lo stridio sgraziato del gabbiano ferì di nuovo il silenzio, era tornato lassù, in un cielo ormai senza nuvole. Troppo in alto, troppo solo.

Un delirio, un sogno, chissà. Forse solo il desiderio di scrivere, ma l’urlo straziante della vita che falcia come grano fuori stagione uomini inermi, senza ali, in attesa di un’alba restia a mostrare il sorriso, rimbomba nelle orecchie. Guardo il cielo. Si sta annuvolando il gabbiano è sparito. Straccio il foglio degli appunti, la poesia si accartoccia, la memoria resetta. Troverò un altro titolo.

sabato 22 ottobre 2011

πέτρα (Petra) onirico rosa

[l’incanto mi prende -lo so- sto sognando]

Il sole è al tramonto e la roccia s’infiamma
mentre il rosa arrossisce all’impudica carezza
è stupore di occhi che abbracciano ammirati
l'incredibile favola raccontata dalle coltri.
Come vorrei un cavallo, un nero e lucente arabo
per tornare indietro, uscire dal sogno e rapirti
attraversando come porta d’oriente quel sottile
diaframma che separa la realtà dall’inganno.
Qui, davanti a questo incredibile rosa scolpito,
varcare l’immenso portone, il naso all’insù allibiti
mano nella mano, mentre le ombre si allungano
e la roccia materna ci accoglie nel suo grembo.
La magia antica di leggende che echeggiano
come voci straniere ma suadenti catturerà
i nostri cuori e il desiderio brucerà il risveglio.

Il nostro sogno rimarrà impresso nel rosa
come due cuori incisi in un tronco millenario.

    (foto da web)

Tattoo lunare

[dai palmi a coppa
-stanotte-
la luna trabocca
bianca pelle
-tatuata-
e cenere di stelle]

che vuoi poeta stanotte?

giorni come anni…
notti rinnegate…
piccoli sotterfugi…
compromessi d’anima…

-ora implori-
una nuova dimensione
perché aiutarti?

avevi la luce
tra le mani dimentiche

resta la cenere
tatuaggio indelebile
di stelle bruciate e ricordi

che vuoi poeta stanotte?

-ora  mi sfuggi-
marchiato per sempre

troppo amore
o ingannevole henna?

giovedì 20 ottobre 2011

La vedovella

Il canticchiar della vedovella nei giardini dietro casa
aveva le note argentine che solo l’innocenza dell’età
assetata di sole e di gioco sapeva intonare alla sosta.
L’acqua pareva essere prezioso rosolio che la nonna
conservava gelosa celato tra i cristalli della credenza
e il suo scorrere incessante attirava gole pari al miele.

L’aria all’imbrunire si faceva dolce come fetta di pane
caldo, dove burro e marmellata in goloso matrimonio
aprivano al sorriso la nivea collana di perle tra le gote.
Ormai riarso dagli anni e cotto al calore di soli diversi
assetato alla fine di una lunga corsa cerco verso sera
un canto ristoratore, le note argentine della vedovella.

…l’acqua scorre incessante, ma la sete rimane…

mercoledì 19 ottobre 2011

Ciao

Parola
abusata
stiracchiata
sorridente
sputtanata
velenosa
ironica
mesta

un saluto
un insulto
una promessa
un amen

una rosa
un’orchidea
una viola
una margherita
un nontiscordardime

Nei tuoi occhi ha un sapore diverso.
Il mio sorriso la canterà nuovamente
quando cadrà l’ultimo fiocco di neve
e il tempo, inedita Penelope al telaio
terminerà paziente la bianca coltre.

Saluterò così il nuovo appuntamento
ma non temere, l’attesa dell’incontro
durerà solo l’attimo di questa parola.
Quindicimilaseicentonovantacinque
volte - oggi come ieri - il nostro ciao.

Ciao Conny

*19/10/1968 da 43 anni mia moglie

lunedì 17 ottobre 2011

Roma alias Milano

erano sampietrini di porfido operaio
quelli che volavano vicino alla Statale
erano altri anni ma oggi fanno il paio
coi tempi che ingoiano anche l’ideale

dalla finestra entrava fumo arancione
cantavi Della Mea, i Nomadi, Guccini
indossavi l’eskimo, stringevi il limone
correvi giù in strada davanti ai celerini

allora sfilavamo indossando quell’idea
che recitava libero di vivere altrimenti
ma tra pietre e spari morì l’ultima dea
tra il ghigno soddisfatto dei delinquenti

che senso aveva per te quell’affanno
tu che vivevi estraneo di sogni colorati
e che alla sera seduto su uno scanno
cantavi utopie ai vecchi addormentati

cantavi senza voce, urlava la chitarra
il bicchiere di rosso nella cooperativa
copriva tutti i mali come una zimarra
e dondolavi al ritmo della locomotiva

poi rientravi a casa nell’ora indecente
la moglie disfatta dormiva sul divano
tu che la guardavi come un deficiente
piano ti scusavi stringendole la mano

se il fumo è tornato, è sparito il vento
le stagioni han soffocato i mutamenti
rimane come allora tutto lo sgomento
per non aver potuto essere altrimenti 

Argilla riflessa

[All’inizio furono lettere e numeri,
disordinati segni senza alcuna vita
poi arcaiche, impronunciabili parole.
Mani incapaci e superbe crearono
un embrione d’argilla rossa, stolta
emulazione dell’umana arroganza
servo muto cui negarono la voce]

Un nuovo Frankenstein.

Errabondo vaghi nel mondo alieno
tra vestigia del tecnologico tempio
cerchi risposte ai perché dall’argilla
che vedi riflessa nella teca parlante.
Furenti labbra incatenate attendono
catartiche sentenze dall’infido clone.

La parola scolpita sulla fronte affiora
stupisce nel cuore l’impasto d’argilla.
La verità ostilmente gridata deflagra,
pensieri senz’anima invocano invano
vendetta per l’impronunciabile segno
ma Nemesi distrae altrove lo sguardo.

L’eco del nome rimbalza tra le rovine,
sbriciola in polvere rossa l’arrogante
embrione figlio della superbia umana.
Beffarda dallo schermo l’argilla riflessa
sorride alle nuove macerie, altre mani
ingorde di potere creeranno nuovi miti.

L’ultimo Golem.

sabato 8 ottobre 2011

Al di là del tempo

[solo un piccolo movimento, uno scatto]

Nei calzoncini di tela ormai fuori taglia,
inutile riparo per gambe ferite dai rovi.
Le righe bianche e blu della maglietta
alternavano il verde smarrito del prato
e la scarpa perennemente slacciata
inciampava tra false spighe di grano.

Assorto su quella collinetta.

Fissavi un punto indefinito lassù nel cielo
nemmeno il sottile fruscio della libellula
che finiva il suo volo su un rovo lì vicino
catturò il tuo sguardo, gli occhi inesausti
indagavano l’azzurro che non s’esauriva.
Testardo cercavi risposte più in là, oltre.

[solo un piccolo movimento, uno scatto]

Nuovamente bambino dai calzoncini di tela
e una piccola coda di lucertola nella tasca,
caccerò la libellula distratta, coglierò more
e il rosso sulle tue labbra non avrà stagioni
Nell’azzurro del prato dove ci ritroveremo
saranno davvero spighe di grano maturo.

Polvere rossa e scarabei d'oro

“cuore piramide di polvere rossa
scarabei d’oro a custodir la fossa”

E’ una nenia come antica filastrocca
che torna in mente se rincorro visioni,
e conto le lune perse a cercar altrove
quei tesori che invece avevo accanto.

…mille perché a mille lune nascoste
gli inutili affanni del mentire stagioni…

Passa veloce tra i lampi delle ciglia
la nostra storia come in una canzone,
ma caparbio attendo ancora risposte
e il vento bugiardo non le ha mai date.

…la neve ha scolorito la polvere rossa
dondola sul tuo seno lo scarabeo d’oro…

giovedì 6 ottobre 2011

Una storia per Dario

“vieni qua piccolo uomo accanto a me sulla panchina
non ci sono verdi vallate davanti a noi c’è la laguna
ho portato uno zainetto di tela grezza verde militare
quello dove infilavo libri usati e il panino da divorare
zeppo di sogni rubati a un tempo fuggito inclemente
e dimenticato nella polvere di un’ignavia indecente

la brezza che accarezza il mare sorride tra le ciglia
e il tuo sguardo disincantato in fondo mi assomiglia
le fiabe vengono alla sera, ora è tempo d’esser seri
ti racconterò di un erba verde cresciuta sui sentieri
caparbia nonostante i veleni di uomini e arroganza
che ospitava fiori e farfalle sfiorite nell’ultima danza

non è una storia triste è solo polvere sullo zainetto
ma dentro ci sono ancora le fate, un elfo piccoletto
sono i miei sogni bambini di un mondo dimenticato
vieni andiamo via, ti sto annoiando ti va un gelato?
sta imbrunendo e il sole mette il pigiama, si fa sera
con lo zainetto accanto sognerò un’altra primavera”

*dedicata a mio nipote Dario

lunedì 3 ottobre 2011

C'era Una Volta

Ssssssssssssst! No!
Non raccontarmi quella storia,
mette i brividi.

Una Volta non c’è più.

L’ingannevole Circe
che ammaliava i miei sogni
e salutava le mie albe
grugnendo i miei chicchirichì
è morta, finalmente.

Divorata da Oggi,
l’errante drago insaziabile
che immemore si ciba
del tuo tempo e lascia il desco
senza pagare il conto.

Ora c’è Ora.

Sono innamorato di Ora
magica e splendida icona
della fiaba del tempo,
fugace e leggiadra farfalla
che colora gli attimi della vita.

Ora.

Assonnato sul tuo seno,
gli occhi al nero cielo bambagia
che ci sorprende piano piano,
conto le lucciole della fantasia
e dolcemente mi addormento.

Sssssssssssssst!
Una Volta non c’è più.

domenica 2 ottobre 2011

Non cercatemi

Non cercatemi sulle panchine dei giardini
A sminuzzar pane in briciole per i piccioni
Né seduto sul freddo marmo dei gradini
A discutere di tempo infame e di pensioni
Non al bar o all’osteria sbracato al tavolino
A contare barando le ombre del mattino
Nemmeno in chiesa come bimbo birichino
A spegnere i ceri riaccesi dallo scaccino

Ora ho tempo.

Come un tappo, seduto
su un formicaio di ricordi,
scongiuro possibili evasioni.

Ora ho tempo, ma
domani è un altro ieri
e oggi è il suo gemello.

…o è il tempo che ha me?...