crepuscolare intesa tra versi e immagini.

crepuscolare intesa tra versi e immagini.

giovedì 30 giugno 2011

Ipocrita

Dimmi perché ora sei qui e accusi le tue mani
incolpevoli dell’inerzia che attraversa queste ore
quando sai che il cuore gioca e nasconde i battiti
fingendo interessi altrove sagacemente riposti.
I rintocchi che rimangono allo scadere del vespero
sono disattesi dalla pigrizia di un campanaro imbolsito,
mentre la tua anima, invaghita di un gabbiano parolaio,
ha spiegato le sue ali inseguendo rime sconosciute
e tu sei rimasto con quattro piume strette tra le dita.

Dimmi perché, ipocrita.

Il fascino indiscreto della poesia

[ne dite pas a ma mere
que je suis dans la publicité
elle me croit pianiste
dans un bordel…]

Jacques Séguéla

E ti ritrovi al passar delle stagioni
la bisaccia dei sogni consumata,
la voglia di stupire ancora deflorata
e il sapore delle parole instupidito.

Eppure oggi un volo di aironi cinerini
disegna indiscrete parentesi voluttuose
graffiando l’azzurro di un cielo attonito
scorteccia i ricordi che germogliano.

Il nuovo raccolto darà copiose messi
con la sfrontata allegria del passato
riempirai di magiche, ma sincere parole
questa tua diversa stagione da pianista.

[e sarà discreta, affascinante poesia]

Del Dolore e dell'Amore

“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.”

Fernando Pessoa
……..

Se la sutura di una ferita profonda
non trattiene il ricordo di un dolore
e la cicatrice tarda a proporsi
come ruga mistificatrice dell’età,
se nonostante il placebo del tempo
le fitte impauriscono i battiti del cuore
e le mani rubano carezze consolatorie
che solo l’amore potrebbe lenire, allora

guardando negli occhi il dolore
fingerai amandolo come fosse amore.

lunedì 27 giugno 2011

Poeta per caso

Mattone su mattone, la vita sulle spalle,
pesa la gerla dei sogni prezzolati mentre
con fantasia e occhi di vecchio bambino
dipingi affascinanti case di muri di carta.

[nella primavera dell’autunno il muro crolla
il cuore in sonno batte il ritmo della paura
mentre l’anima mistifica gli insulti passati]

Col dolore hai sventrato le tele imbrattate
hai piegato sulla tastiera mani dimentiche
inciampando nel sogno ora scrivi poesia
e nello stupore ogni volta catturi il cuore.

Così, per caso.

La grande illusione

All’acqua! All’acqua! Si gridò.

Seppure in pochi alle grida,
si fu ratti come argentee sogliole.
Il guizzo ci prese del frenetico andare
le pinne magistrali rivolte al passato,
proiettammo verso il futuro l’algida tensione
alla ricerca della fonte maestra.

Qualora raggiunta avrebbe mai reso
giustizia attesa a cotanto fervore?

Eppure tutto portava là, alla fonte
dove l’inizio ha un senso nonostante
l’acqua alla fine canti diversa canzone.
Le note fluivano come liquido immemore,
Dimentichi coscienti del nostro essere
cantammo la lunga canzone della vita.

Muti come sogliole ci credemmo salmoni.

E alla fine arrivammo alla foce.
Ci parve il delta ma fu estuario? Nella confusione
di pinne e dorsi, boccheggianti, stremati
tre di noi con le rosse guance d’invidia morirono.
Uno solo sopravvisse, avea la pancia gonfia
non sputò nemmeno una lisca, l’infame
l’indegno pasto lo sostenne fino al traguardo.

Fu lì, che in sussulto di indecenza, mentre
con voce stridula intonava la canzone della fonte,
il ricordo dello scempio compiuto richiamò
tre lische alla gola e soffocò.

Cantò da salmone ma morì sogliola.

L’acqua sconcertata non decise la sua parvenza
foce, delta oppure estuario?
Nell’indecisione si inabissò nell’arido terreno
che con un singulto lussurioso tutta l’ingoiò.

Ripresi il canto interrotto, ma la voce non sortì,
spiaggiai muto come un pesce credendomi usignolo.

domenica 26 giugno 2011

Volevo scrivere una fiaba

Regina si perde nello specchio rotto
mentre la luna annega dentro al pozzo
il lupo col manto rosso attende là nel bosco
distratto col retino acchiappa una farfalla
il tempo nella clessidra danza la macumba
l’orologio del coniglio è rimasto senza parole
per il gatto che ha perso le chiavi del castello
quarantaquattro topi si inseguono come ratti
la volpe s’è mangiata l’uva col formaggio
il tè nella teiera aspetta il mio compleanno…

desto raccolgo i cocci di una notte indecente
ma torno a dormire, il giorno non mi attende
piano, mentre Aurora sconfigge l’uomo nero
lo specchio ricompone i pezzi dei miei sogni
Regina è là, mi attende, sento il suo respiro
gli occhi sorridono, le mani si incontrano
le pagine distratte del grande libro dei sogni
riprendono il giusto seguire la fiaba della vita
svanisce il lupo cattivo al candore del suo seno
mi sveglio e torno a perdermi nel bosco…

Ancora voliamo il tempo

Sono fuggiti in silenzio, senza frastuono
gli anni perduti, giocati per troppo amore,
l’arroganza del falso pudore ha lasciato
bisacce di sogni comprati a poco prezzo
nei mercati della vita e un baule ricolmo
di ricordi e foderato di buone intenzioni.

[ma gli occhi sorridono]

Così estate dopo estate si rinnova il rito,
contiamo i passi sfidando il ritmo degli anni
mentre passano viepiù veloci e regalano
piccole sporte da riempire con piccoli sogni
conservati sotto la neve che ogni anno
attende l’ultimo raggio di sole al tramonto.

[c’è ancora posto nelle piccole sporte…]

sabato 25 giugno 2011

Il faro


Vivido l’arancio inattinico della luce guardiana
proietta ombre cremisi all’incendio del tramonto
mentre riflessi rosso sangue graffiando il mare
rimandano messaggi luminosi al buio incipiente.

Ritornano i legni sparsi all’orizzonte al richiamo
stridono le catene degli argani corrosi dal sale,
i gabbiani scortano famelici il gratuito banchetto
e danzano mille ali al ritmo colorato delle ombre.

Orfano si oppone al cobalto della notte il chiarore
della piccola torre solitaria, stanco il cuore pulsa,
mentre la sua solitudine piange lacrime d’arancio
un diadema di zaffiri incorona una luna vanitosa.

[luci della ribalta per una pièce in eterna replica]

Lasciami volare

Lasciami volare ora che le ali sorridono al vento
salirò sulle nuvole che veloci scorrono stasera
mentre vanno a morire laggiù dove il blu scolora
veleggerò con l’ultimo soffio del suo respiro gentile.

Canterà il cuore al ritmo di un alito nuove canzoni
e troverà tra le geometriche evoluzioni di gabbiani
l’approdo agognato per un sogno di tutta una vita
se mistificando il peso degli anni danzerà leggero.

Stasera il respiro del mare racconta nuove emozioni
mentre ascolto in silenzio storie fantastiche di sirene
e un tordo ritardatario zirla appollaiato su un’antenna
raccolgo le mie ali stanche e sorrido al nuovo sogno.

Ma tu, stanotte, lasciami volare.

Kalinikta, agàpi (buonanotte amore)

[ammucchiata in un angolo polveroso
disarticolata marionetta senza fili,
la corazza di latta che ha indossato
l’arroganza dei miei giovani anni
giace muta testimone di battaglie perse]

Guerriero mercenario al soldo di false verità
ho inseguito e combattuto senza armi e onori
ombre cinesi disegnate sui muri della vita.
Stasera, in un respiro che sa di malinconia,
conto stelle sparse come lumini anarchici
in un cielo di cartone dipinto che pare vero
e non basta il profumo del mare, o il richiamo
di un gabbiano nottambulo a scaldare il cuore
quando ancora le ferite dolgono sotto pelle.
Dormi, il respiro tradisce l’affanno degli anni
è un sorriso appena accennato il tuo sonno,
ma sereno ormai è il mio percorso di reduce.
Mentre la corazza s’inabissa lentamente
e i gabbiani stupidamente giocano i gorghi,
a te accanto si scioglie la malinconia, sogno.

Kalinikta, agàpi

Controra tzigana

Respiro in questa afosa controra
bruciata, morsa da un sole assassino
galleggio inerte in un tempo sospeso
tra l’alito del cielo e il rutto del suolo.

Perfora inattesa il silenzio assonnato
una coinvolgente melodia tzigana,
poche note venute da chissà dove
si insinuano fagocitando il mio respiro.

Mentre cerco un disperato appiglio
ai miei pensieri che si inseguono bolsi,
respiro al ritmo di una gipsy dance,
e lego il cuore alle chiavi di un violino.

[galleggio immemore nel tempo sospeso
di questa afosa controra zingara]

venerdì 24 giugno 2011

La zimarra

Stasera la neve soffoca  e imbianca la zimarra degli anni
e benché l’ingordigia del rosso abbia fagocitato l’azzurro
il tepore del primo vagito dell’estate tarda ad annunciarsi
e il liquido scorrere dei pensieri vaga sospinto dal mare.

Lo sguardo obliquo di un gabbiano impertinente cattura
e sollecita la risposta al quesito che veleggia sulle onde
a nulla vale allora mentire sulla tua tristezza immotivata
la verità riflessa nell’argenteo dondolio esplode liberata.

La sdrucita zimarra che ha coperto gli insulti del tempo
scivola lentamente nell’acqua sciogliendo nivei ghirigori
e ascolti sbigottito la risata del gabbiano alzatosi in volo
mentre le spalle nude rabbrividiscono sul calar del sole.

[non ho più tempo da spendere per una nuova zimarra]


Di quella metà sono figlio

Metà vecchio e metà bambino
porto a spasso la mia incoscienza
quasi fosse il mio clone, la mia ombra
sorriso ipocrita di malcelato orgoglio.

Metà angelo e metà assassino
cerco un paradiso di cartapesta 
da capovolgere e agitare nella sfera
di un mondo rinchiuso nel cristallo.

Metà donna e metà uomo
scrivo l’amore col rossetto sullo specchio
ma canto il dolore di tante albe inutili
e inseguo un sole che veloce declina.

Metà poeta e metà sognatore…

Penombra

Impercettibili, lenti movimenti animano i tuoi fianchi,
respirano al racconto dei tuoi sogni ancora bambini
li osservo nella penombra mentre dolcemente piove
sui miei occhi l’improvvisa tenerezza di questa notte.

Ora anche il mio respiro, chetato dalle ansie isteriche
dei ricordi si accomuna al tuo, cammina nei tuoi sogni.
Ooh sì, vorrei ritrovare quelle giovani ali indimenticate
e volare insieme occhi negli occhi sorridendo l’amore.

Timido è il pensiero tra le lenzuola della penombra.

Eclissi di luna

È ancora notte e sto cercando la luna nascosta
ho una fetta di mare per il suo argenteo sorriso,
mentre un gatto innamora del suo pianto la calle
e le luci tremule dei lampioni danzano nel canale.

Se aspetto al poggiolo che passi la malinconia
l’inevitabile compagna del mio spirito inquieto,
insoddisfatta amante del mio cuore scapigliato,
mi coglie all’improvviso sorridendo cinicamente.

Ora il pianto reiterato di una bimba capricciosa
ferisce il magico incanto e il fiato sospeso rotola
tradisce l’impazienza di un’attesa viepiù sofferta
mentre la luna gioca, si nasconde sotto la coltre.

E’ ancora notte e sto aspettandoti qui sul molo
raccontando al gatto ormai rassegnato l’amore
m’illudo con ipocrite filosofie di lenire il dolore
ma la malinconia ride sguaiata alla sua vittoria.

E’ ancora notte e ho perso la luna cercandoti.
  

Bricole le multiformi strade della poesia


Un ulteriore volo del gabbiano, ci porta alla nuova  produzione di Franco Pucci, "Bricole- percorsi inversi", raccolta di poesie che assembla sotto un unico titolo le multiformi strade della poesia secondo l'autore. Con un esemplare gioco di parole, il sottotitolo "percorsi inversi" ci porta ad una interpretazione ambigua, dove un percorso già segnato dalle varie esperienze poetiche, e quindi in versi, risulta quasi in contrasto con l'inverso cammino di Franco Pucci nella sua nuova interpretazione del verso poetico. Bricole, percorsi inversi, secondo la spiegazione della parola nella laguna veneta, segnano la strada acquatica che le gondole o altre imbarcazioni della laguna, seguono grazie a quei grossi pali conficcati nell'acqua, le bricole appunto, che indicano anche il cammino inverso. Non è un caso che l'autore scelga questa parola di riferimento lagunare, vivendo lui stesso a Chioggia, terra ricca di contrasti e meta interiore per le sue creazioni poetiche. Rispolverando alcuni versi di Pucci, ci si ritrova a contemplare un insieme di suoni, colori e odori che attraversano il tempo e l'universo umano, e ci sembra di assistere al formarsi di quelle infinite onde concentriche, che si generano al cadere nell'acqua della laguna, con il pur piccolo sassolino poetico. L' alternare sentimenti a liturgie di cieli e dimensioni, mette il lettore in contatto diretto con l'anima del poeta, tanto da rendere universale quel magma espressivo che sembra inesauribile. Una scrittura intessuta d'intimità profonde quella del Pucci, che fa affiorire immagini di una realtà tutta da scoprire e affrontare. Le espressioni lessicali e la ricerca del ritmo rivelano un'attenzione tale da consentire un'armonia sostanziale della forma e dello stile. Tutto diviene per Pucci un forte sentire, l'esistenza sembra equilibrarsi in quegli slanci di profondo amore per la poesia. Accanto a liriche aperte alla gioia e alla serenità troviamo itinerari di sofferenza e dolore, quei percorsi inversi che a volte sono necessari per una consapevolezza personale dei propri limiti. La dinamicità dei versi,  l'eterogeneità del linguaggio creano una struttura letteraria lineare e brillante, che risulta essere un'indelebile traccia di una personalità sincera e costruttiva.
Pucci attraverso la poesia recupera la sua identità e con naturalezza va ad intrecciare la sua libertà d'intellettuale.

Michela Zanarella

Quello che sei

[senti come accarezza stasera
il vento caldo che attraversa le gelosie,
mentre davanti ad una pagina bianca
cerco stancamente il filo dei ricordi
ingarbugliatisi come anarchica matassa
nel gioco frenetico di un gatto dispettoso]

Ci sarà pure una ragione.

Sei tu, il vento che mi solleva dal grigiore
del limbo apatico in cui sto sprofondando
e mi trasporta verso la nuvola dei sogni
che attende lassù da tempo dimenticata.

Sei tu, l’ago della bussola nella mia vita
che non sbaglia mai l’indirizzo, la rotta,
mi adagio nella certezza della tua guida
e torno a rincorrere i sogni mai sognati.

Sei tu, la panacea della mia inquietudine
che dispensando amore in dosi massicce
calmi i battiti aritmici di un cuore sciancato
dalla inutile e affannata rincorsa del tempo.

Sei tu quella ragione.

E ancora leggo il tuo respiro

Due sagome claudicanti mano nella mano
intrecciano passi sghembi quasi danzando
un tango immaginario, come ombre proiettate
sui sampietrini del molo, passano incuranti
della curiosità assassina di occhi ammanettati
che non sanno leggere le note oltre l’ovvio
e non conoscendo l’amore confondono le carte.

In loro il trascorrere delle stagioni ha rinsaldato
la complicità della tenerezza che ormai regge
da sola il peso dell’amore da traghettare in porto.
Sorridono le ombre cinesi create dal tramonto
e un bacio pare essere un insulto alla stagione,
ma le ali spiegate al garbino gentile che ci solleva
guidano il nostro volo verso la meta in attesa.

Ultimi refoli di vento spazzano ore di tempo inutile
lasciato a rotolare livide parole vendicatrici sul molo
mentre ti stringo leggo nei tuoi occhi i miei sorrisi.
Planiamo dolcemente, gabbiani che senza fretta
attendono il calar del sole per ripiegare ali stanche
e acconciarsi al tramonto, dopo aver colorato albe
danzando musica nonostante le note disarmoniche.

Così scrivo mentre leggo il tuo respiro.

Acido lisergico

Aspre di more di gelso e di lamponi acerbi colate
come false lacrime disseccate al sole dell’ipocrisia
rosse di ribes straniate da passi frettolosi sul cuore.

[stempero crudamente con le dita questa tavolozza]

Alieno da setole lucenti intingo entrambe le mani
nel zuccherino e colorato impasto, violento la tela
e mentre t’imbratto l’anima prosciugo il tuo amore.

[succhiandolo, come novizia falena imbrattatele,
la dolce arroganza muta venefica in acido colore]


Un attimo prima del nulla

Quando i miei occhi avranno ancora fame di luce
allora il buio avrà la nauseante sofficità del nulla
non ci sarà il ricordo del tempo a scandire l’odio
non ci sarà il battito aritmico della tua emozione
non si udrà il canto univoco dei cuori innamorati.

[…nulla…]

Quando la brezza che al tramonto sale dal mare
avrà gonfiato inutilmente vele incatenate al molo
non salperanno i navigli verso tramonti incantati
non avrà eco il richiamo straziante del gabbiano
non avrà sapore l’ultimo bacio a labbra schiuse.

[…ma tu baciami un attimo prima…]


giovedì 23 giugno 2011

Ho tolto il tappo, non è ancora aceto

Il primo strato che incontri é quello dei ricordi più dolorosi. Se riesci ad abbattere il muro che hai costruito per seppellirli. Vengono a galla, risalgono la superficie dell’ignavia che li ha tenuti lontano dal tuo cuore evitandoti sofferenze e si mostrano così al mondo, nudi. Ora che hai rotto gli argini, mi dico, vai avanti non fermarti. L’emozione è forte, i ricordi tentano di sommergermi. Dove sei stato fino adesso? Perché proprio ora? E’ come aver tolto il tappo ad una bottiglia di vino che stava andando in aceto. Mi mancava il cavatappi, mi sono risposto. Poi ho convenuto con me stesso che era una delle mie solite scuse. Che grandi cazzate si inventano gli uomini pur di non ammettere i loro errori! Mi sono messo a scrivere.