È un cielo di
garza.
Nell'imbrunire
una rondine smarrita
volava stranita,
straniera all'amplesso
di un cielo di
garza dal respiro velato
che piombava le
ali, affogava il canto.
Cercava una nota,
un angolo strappato
un assenso alla
fuga da quel cielo ignoto
così la voluta
era uno sgorbio, un insulto
e il canale
attonito rifiutava il suo palco.
È un cielo di
garza.
Il profumo di
caffè ha mitigato il dolore
quella piccola
spina che piaga il costato
la delusione per
l’appuntamento perso
per lo spettacolo
agognato nell'inverno.
Un ultimo,
sommesso garrire, un saluto
o forse un
lamento, chissà, verso un Dio
che simile all'uomo
stravolge i percorsi
e muta il suo
canto in urlar di gabbiano.
Cuce nella calle
il pescatore il suo cielo
rammenda con l’accia
la garza violata.
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