(non avevo il
collo sinuoso dell’airone
né la voce
gorgheggiante dell’usignolo
ma l’arrogante
nitore della mia divisa
scagionava la
mistificazione all'anima)
Ma cantai.
Pinneggiavo la
mia bellezza nello stagno
-l’acqua indolente
accarezzava gli umori-
nel maleodorante regno
di lucci affamati
pigre moltitudini
di boccaloni genuflessi.
Così nella mia
colpevole e totale alterigia
concionavo
l’indifferenza di rane e girini
l’acqua marciva mentre
i creduloni in fila
-pinne adoranti-
seguivano l’astuto luccio.
Fu un bel
discorso ma l’applauso non sortì
la voce uscì dal
becco urticante e sgraziata
il luccio
sfacciatamente divorò i boccaloni
con arroganza cantai
di me quasi usignolo.
Fu l’ultimo
canto, il luccio non abboccò.
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