Strana gente s’incontra sotto
i portici a Chioggia,
esagerata nel proporsi, nel
vociare, ribelle alla banalità
del comune senso del
pudore -fa mostra di se altera-
Truci marinai, pescatori
esibizionisti sfoggiano buccole
e diamantini ai lobi con
la naturalezza e la ferocia
dello sguardo, come un vecchio
bucaniere consumato.
Donne che definire mature
sarebbe già passato remoto
fasciate in improponibili
vestiti da sedicenni Nikita,
portano a spasso cortei
di cellule obese con indifferenza.
Ah, individualista anarchica fiumana che ondeggia
riversando di quando in quando lo struscio sul Corso,
dove ad ogni piè sospinto chiese e basiliche rammentano
-con dovizia di campane- le radici di questa comunità
costantemente in bilico tra il sacro scritto e il
profano.
Poi, quando l’intercalare blasfemo al tavolino m’attende
-con lo sguardo ormai perso nei flutti di cattivo vino-
la cronaca di un’alba deflorata tra grida roche di
gabbiani
e l’incarognire del vento salso, diventa alibi nel
racconto
di una vita difficile ma orgogliosamente attraversata.
Apro il portone la calle
non fa una piega ormai adusa
ad ogni rumore o
intemperanza e l’attaccaticcio umido
del vecchio androne di casa
mi accoglie, carta moschicida.
Siedo al poggiolo,
l’aroma del caffè rianima la timida falena
che schiude le ali e si
libra colta da improvvisa energia.
Strani umori, acri e pungenti
odori salgono ora dal canale.
Ho speso lustri e parole nel
cercare la vita vera ed ora
-ora che si dipana, si
disvela sotto i miei occhi e mi cattura-
ora non ho parole che per
la mia gretta e arida superbia.
Non fosse che il cuore ha
stanze sufficienti per le insanie
e i brontolii di un sognatore
insaziabile, sai non sorriderei.
Ma è un disincantato
affresco di uno strano amore.