non ebbe misura il
tempo che passai
accovacciato sulla
riva del Lete.
Crono era il
cadavere che attendevo
ma la clessidra
ammutolì nell’irreale.
un ammasso informe
attraversò
ciondolandosi nelle
acque dell’oblio
riconobbi terreo il
mio sembiante.
Il tempo mi aveva
fottuto ancora.
Panta rei.
quante volte in tutti questi anni
mi sono trovato assemblato a fatica
per attraversare lo stesso fiume.
inghiottito dai medesimi mulinelli
dimentico di me e della mia meta
in balia di correnti e gore assassine.
quanti vascelli di carta tremebondi
e zattere di dolce pan di zucchero
e catamarani di zolfanelli colorati.
ogni seducente arte navale fu spesa
per iterare la fuga, noi dimentichi
delle acque dispensatrici di sogni.
all’approdo il sorriso ebete infilava
zoccoli di lana, puntuali al ritorno
mostravamo le piaghe inevitabili
che i tratturi annosi dispensavano.
stanco al desco, novello Polifemo,
una sola pietanza mi allettava, tu.
indossando pantofole di legno
-piccoli navigli improvvisati-
fuggivi dalle profferte amorose
e in un sadico gioco mi alienavi
accovacciato sulla riva del Lete.
in attesa del rientro da te stessa.
Panta rei. un
aforisma.
una filosofica incazzatura.
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