è per te che ancora
rincorri
farfalle notturne e
lucertole
che al mattino
sculacci i sogni
per la paura
dell’abbandono
è per te che ai tuoi
calzoni corti
hai appeso la
fionda consumata
che ancora provi nuovo
stupore
nel rimirar la vita
che è sanata
Questo canto parve sciogliersi nella calle
una eco -un prato su cui correre ancora-
un coro che solo la mia anima tetragona
ad ogni emozione, paurosa dell’universo
poteva percepire al pari di lieve angoscia
prima che i rintocchi placassero i sussulti.
Ma forse sono io che canto questa canzone
la mia dedica a quel che resta del bambino
che vorrebbe fosse fiaba ancora il racconto
da scrivere nel libro dalle pagine sfiancate,
ingiallite dal tempo come foglie d’autunno,
caduche sulla neve che incanutisce il sogno.
-questa voce mi somiglia e racconta-
L’aria profumava di legno e mandarino
le strade erano lucciole imbrillantinate
e gli zampognari musicanti nella neve
del soffice e ovattato battere del cuore.
Che resta di quel respiro di quella malia
ora che anche l’incenso è polvere sottile
che lo sguardo è prono sui propri passi
e le ombre riflettono orbe delle vetrine?
Resta solo la vergogna, la memoria obliata
profitto sulla pelle di cristi senza più croce
l’ignavia e la menzogna propinata ai cuori
sogni affogati e speranze da cinismo illuse.
è per te che ancora
ti commuovi
al veder il
cavalier di terracotta
sul cavallo con
l’anima di ferro
zoppo di guerre
perse nel gioco
è per te che vorrei
questo Natale
fosse il profumo delle
caldarroste
il sorriso di occhi
volti al domani
e lucciole
indaffarate nelle vetrine
-per me sorride nella calle questa eco-